XXI Congresso Nazionale di Magistratura Democratica
Bologna (3-6 novembre 2016)
TESTO IN PDF 2016-11-3-anf-congresso-md-1
Un progetto comune per vincere le disuguaglianze
L’ANF Associazione Nazionale Forense ringrazia Magistratura Democratica per l’invito a partecipare al XXI Congresso Nazionale che si celebra in questi giorni a Bologna, a testimonianza del confronto e della reciproca stima che caratterizza ormai da tempo il rapporto tra le due associazioni.
E porto a tutti Voi e alla Vostra associazione il saluto dell’Associazione Nazionale Forense.
Il tema prescelto per il dibattito congressuale (“Disuguaglianze. Compiti della giurisdizione”) è senza dubbio importante e di stretta attualità e in questi pochi minuti vorrei soffermarmi e interrogarmi sul rapporto, un po’ tormentato, tra il sistema della giustizia civile e le possibili disuguaglianze che da esso possono discendere, non solo in termini di accesso alla giustizia sotto il profilo – seppur non trascurabile – del contributo unificato.
A partire dall’estate del 2011 possiamo registrare 10 decreti legge (n. 212/11, n. 1/12, n. 83/12, n. 179/12, n. 69/13, n. 145/13, n. 90/14, n. 132/14, n. 83/15, n. 59/16) con altrettanti provvedimenti di conversione, 4 leggi di stabilità, un decreto legislativo (n. 72/2016: cd. decreto mutui), una legge “salva decreto ingiuntivo” (n. 218/11), una legge delega di riforma della magistratura ordinaria (n. 57/16) con un primo decreto attuativo, un disegno di legge di riforma del processo civile approvato in prima lettura (DDL Berruti) e una proposta di riforma della legge fallimentare che deve approdare ancora nelle aule del parlamento.
Provvedimenti resisi necessari, a dire del legislatore e della politica, per combattere uno slogan secondo il quale la crisi della giustizia civile era addebitabile unicamente all’elevato numero di cause pendenti, stimato a volte in 6 milioni, altre in 5,5 milioni, altre ancora in 5,2 milioni.
A distanza di cinque anni possiamo senza dubbio affermare, utilizzando le stesse parole del magistrato che ha coordinato le indagini statistiche per il Ministero della Giustizia, che quello slogan era ingannevole.
Numeri alla mano, il censimento dei procedimenti civili pendenti a cura del Ministero di Giustizia[1] ha evidenziato, rendendoli disponibili a tutti gli operatori del diritto, elementi di valutazione prima d’ora mai pienamente analizzati o del tutto ignorati e nel contempo ha sfatato numerosi luoghi comuni sull’andamento della giustizia civile in Italia. Ad esempio:
- la tesi di eccessiva litigiosità degli italiani è priva di fondamento in quanto l’indice di litigiosità elaborato (dati 2012) dalla CEPEJ evidenzia in Italia un valore medio (2.613 procedimenti su 100.000 abitanti) pressoché uguale alla Francia (2.575), sebbene i tempi medi di risoluzione italiana siano più alti rispetto agli altri paesi europei. Inoltre, poiché il numero degli avvocati francesi è inferiore a quello degli italiani ma il tasso di litigiosità francese è quasi uguale a quello italiano, ne possiamo desumere che il tasso di litigiosità non dipende nemmeno dal numero degli avvocati italiani;
- non vi è alcuna correlazione tra indice di litigiosità e qualità delle performance dei nostri tribunali in quanto le performance peggiori dei tribunali si riscontrano anche nelle zone a bassa litigiosità e le performance migliori si riscontrano anche nelle zone ad alto tasso di litigiosità;
- è vero che vi è un alto tasso di scoperture nelle piante organiche dei tribunali ma un anno di studio sembra dimostrare che non vi è connessione tra scoperture di organico e basse performance e viceversa;
- la collocazione geografica dell’ufficio non è sinonimo automatico di migliore o peggiore performance dell’ufficio a seconda che questo sia del nord e del centro oppure del sud (la presenza dei Tribunali di Termini Imerese e di Marsala tra quelli con le migliori performance dimostra l’ininfluenza della collocazione geografica);
- la performance migliore o peggiore di un ufficio giudiziario non dipende, ammesso che possa dipendere, da un rito processuale piuttosto che da un altro.
Allo stesso tempo, i rapporti del Ministero della Giustizia hanno confermato che:
- l’unica vera emergenza risiede nella difficoltà di gestire i procedimenti pendenti da più di tre anni (ultra-triennali) che rappresentano il famigerato e mistificato “arretrato”;
- che alla data del 30.6.2016, secondo le statistiche del Ministero della Giustizia, il numero dei procedimenti pendenti (dinanzi a Tribunali, Corti d’Appello, Corte di Cassazione Tribunali per i minori, giudici di pace) è di 3.886.285 e che l’arretrato ultra-triennale è costituito da 679.975 procedimenti;
- che i numeri dei procedimenti civili è il frutto di una sempre migliore classificazione ad opera degli uffici del Ministero e non certo del susseguirsi di un numero elevato di provvedimenti legislativi sul processo che, invece, necessitano di tempo per valutarne la bontà e gli effetti;
- che il vero collo di bottiglia della giustizia civile italiana riguarda i procedimenti dinanzi alle Corti di Appello e alla Corte di Cassazione, mentre i Giudici di Pace e i Tribunali riescono a gestire fisiologicamente, e al di sotto o nel rispetto dei parametri fissati dalla legge Pinto, l’andamento dei procedimenti pendenti;
- che sebbene sia confermata, a livello europeo, la produttività dei giudici italiani (al secondo nella classifica redatta secondo i criteri CEPEJ), dubbi sorgono in ordine allo loro capacità di gestire i procedimenti ultra-triennali;
- che è necessaria una nuova idea di organizzazione del lavoro, che riguarda i magistrati, gli operatori di cancelleria e gli avvocati, e che preveda una leadership nei vertici apicali degli uffici giudiziari, capace di razionalizzare meglio i carichi di ogni singolo ufficio e motivare ogni singolo suo componente.
“In sede ministeriale si ritiene che siano necessari ed urgenti interventi organizzativi mirati a colpire le vere zone in crisi, cioè il vero arretrato, e non genericamente le «pendenze», né le “false pendenze”; e neppure le pendenze “non rilevanti” o “non definibili da parte del Giudice” (pag. 15 del rapporto del Ministero di Giustizia dell’11 agosto 2015, “Aggiornamento del censimento speciale della giustizia civile”).
I rapporti ministeriali, però, offrono anche qualcos’altro rispetto ai numeri, offrono – cioè – uno sguardo d’insieme sul sistema della giustizia civile capace, da un lato, di indurre a riposte e soluzioni diverse da quelle a macchia di leopardo rappresentate dalla bulimica decretazione processuale di urgenza e, dall’altro, di compattare i diversi soggetti che operano nella giurisdizione (nel caso che ci occupa, nella giustizia civile) per risposte e soluzioni che, in un momento di scarsi investimenti nella giustizia, siano il più possibile condivise e da tutti realizzate per un unico fine.
Una visione d’insieme e, soprattutto, una condivisione integrale di un progetto da parte di tutti gli operatori (avvocati, magistrati e operatori di cancelleria) le abbiamo già sperimentate con il PCT: la telematizzazione del processo, ieri nel civile, oggi nel penale e a brevissimo anche del processo amministrativo, è stata possibile, vincendo anche sacche di resistenza interne, solo in forza di una comune e condivisa finalità da perseguire.
Un altro esempio, condivisibile o meno, di collaborazione tra soggetti della giurisdizione lo stiamo sperimentando sul tema della sinteticità degli atti e con il protocollo tra Corte di Cassazione e Consiglio Nazionale Forense su possibili regole e schemi di redazione dei ricorsi dinanzi alla corte di legittimità.
Non me ne voglia qualcuno se affermo che la sinergia tra i vari soggetti della giurisdizione è ormai un percorso avviato e irreversibile; in questo senso, quindi, non devono far gridare allo scandalo la presenza degli avvocati nei consigli giudiziari e negli uffici legislativi del ministero, con funzioni fino a ieri riservate a pochi, e il loro graduale e sempre maggiore coinvolgimento in tutti i gangli della macchina giustizia della quale sono, al pari di tutti gli altri soggetti, co-protagonisti.
Non si tratta di attività lobbistica dell’Avvocatura o del tentativo di alcuni di ledere o minacciare l’indipendenza o i diritti altrui ma di offrire al legislatore, alla politica e ai cittadini un’idea di giurisdizione e di giustizia condivisa, discussa, elaborata e realizzata, senza primazie o primogeniture, al fine di non accentuare le possibili disuguaglianze che derivano da un sistema che funziona poco e male e dalle quali, proprio oggi e in questa sede, Magistratura Democratica intende ripartire per combatterle e superarle.
In tale contesto, le modifiche alla legge Pinto introdotte alla fine dell’anno scorso rappresentano forse il corto circuito più evidente, a danno del cittadino, tra l’incapacità di organizzare il processo civile e il diritto del cittadino di non essere la vittima di un’errata organizzazione dell’intero sistema al quale è estraneo.
I rimedi preventivi possono creare disuguaglianze che invece vanno combattute alla fonte; la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è già espressa sull’istanza di prelievo nel processo amministrativo quale rimedio preventivo (decisione del 25.2.2016) e il TAR Liguria (ordinanza del 17.10.2016) ha recentemente investito la Corte Costituzionale della questione di legittimità di alcune disposizioni delle novellata legge Pinto.
C’è da chiedersi se la riforma della magistratura onoraria, con l’ampliamento della competenza in ambito civile e penale per alcune materie e con la competenza esclusiva per altre, da un lato, e il disegno di legge Berruti, con la sua forte caratterizzazione specialistica ed economica (tribunale delle imprese), dall’altro, non stiano modificando l’idea di giustizia in sé elevando a rango superiore i rapporti economici e relegando a rango inferiore quelli tradizionalmente votati alla tutela dei rapporti di convivenza civile, così creando le basi di una futura disuguaglianza tra cittadini e imprese.
Le stesse perplessità sorgono guardando ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie; oggi se ne parla in tutti i possibili consessi ingenerando nell’opinione pubblica l’equivoco di un’equivalenza tra modelli (quello processuale e quello al di fuori del processo) mentre è evidente che l’applicazione delle norme è cosa ben diversa dal risolvere o anticipare una lite su base volontaristica e utilitaristica.
E non dobbiamo dimenticare che l’impostazione – anche dal punto di vista terminologico – fortemente deflattiva dei sistemi alternativi, accanto al loro proliferare senza verificarne la bontà e l’opportunità, ne pregiudica le potenzialità e le sminuisce.
L’auspicio, allora, è quello di un progetto che veda coinvolti tutti i soggetti della giurisdizione, la politica, le istituzioni anche economiche, e che muova dall’individuazione delle priorità da perseguire, di un migliore collegamento tra diritti tutelabili e giurisdizione togata e onoraria, di modelli realmente alternativi da offrire al cittadino e alle imprese, e dalla relativa sinergica organizzazione.
Per vincere le disuguaglianze.
Avv. Luigi Pansini
(Segretario Generale ANF – Associazione Nazionale Forense)
[1] “Analisi delle pendenze e dell’anzianità di iscrizione degli affari civili”, del mese di ottobre 2014; “Aggiornamento del censimento speciale della giustizia civile”, dell’11.8.2015; “Aggiornamento del progetto Strasburgo 2”, del 30.9.2015; “Analisi delle pendenze e dell’anzianità delle cause civili nei Tribunali e nelle Corti di Appello”, del mese di aprile 2016; “Monitoraggi della giustizia civile, primo e secondo trimestre 2016”, del 21.7.2016 e del 10.8.2016.