“Valorizzare le condizioni di uguaglianza che l’art. 51 della Costituzione pone alla base dell’accesso alle cariche elettive; favorire il fisiologico ricambio all’interno degli ordini forensi; bloccare l’emersione di forme di cristallizzazione della rappresentanza; assicurare il buon andamento dell’amministrazione, anche nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza; tutelare i valori di autorevolezza della professione in ragione della sue diretta inerenza all’amministrazione della giustizia e al diritto di difesa; impedimento temporaneo alla ricandidatura preordinato a evitare la formazione e la cristallizzazione di gruppi di potere interni all’avvocatura o a limitarne l’eventualità: non ci sono dubbi sulla chiarezza delle motivazioni della sentenza, pubblicata oggi, con cui la Corte Costituzionale, dopo l’udienza del 18 dicembre scorso, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità sollevate dal Consiglio Nazionale Forense in ordine al limite del doppio mandato previsto per l’elezione dei componenti dei Consigli degli ordini circondariali forensi. A questo punto ci aspettiamo un formale passo indietro da parte di tutti gli ineleggibili rieletti e che nessuno ricorra a cavilli da azzeccagarbugli per aggirare il limite del doppio mandato: in questi mesi abbiamo assistito, fortunatamente non in tutta Italia, a comportamenti bizzarri non rispettosi dell’istituzione rappresentata”.
Lo dichiara il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense Luigi Pansini.
“Le motivazioni – continua Pansini – seguono la scia di quelle con cui i giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza del 19 dicembre 2018, aveva affermato la portata del limite del doppio mandato. Ora è necessario che il Consiglio Nazionale Forense ponga fine al proliferare del contenzioso elettorale e ci aspettiamo un minimo di autocritica da parte di chi, in questi mesi, ha preferito rimanere in silenzio o fare melina in attesa di “vedere le carte”, così screditando in autorevolezza l’intera Avvocatura. Occorre senso di responsabilità e un bagno d’umiltà dinanzi alle espressioni che la Corte Costituzionale e Corte di Cassazione hanno utilizzato: rappresentanza, uguaglianza, imparzialità e trasparenza sono valori che costituiscono il patrimonio genetico di ogni avvocato autonomo, libero, liberale e indipendente e che non possono essere messi in discussione per un attaccamento alla poltrona mascherato da “asserito spirito di servizio”.
“Speriamo si chiuda qui questa pagina nera e che l’Avvocatura più conservatrice non continui a predicare bene e a razzolare male, allontanando gli avvocati dalle loro istituzioni di rappresentanza” – conclude Pansini.