Giovane Avvocatura ed accesso alla professione – intervento su Cassa Forense News di febbraio 2017

Avvocatura e giovani generazioni, un tema sempre attuale dai mille quesiti e dalle difficili risposte.
Eppure la legge professionale è perentoria: l’ordinamento forense favorisce l’ingresso alla professione di avvocato e l’accesso alla stessa, in particolare alle giovani generazioni, con criteri di valorizzazione del merito (art. 1, comma 2, L. 247/2012).
La realtà, tuttavia, è più cruda e meno luccicante di un’affermazione di principio e l’accesso alla professione, come riformato dalla nuova legge ordinamentale, non è stato ancora completamente regolamentato.

A quattro anni dall’entrata in vigore della L. 247/12, tutti sanno che la “pratica forense” deve essere svolta in forma continuativa per diciotto mesi, di cui almeno sei presso un avvocato iscritto all’ordine o presso l’Avvocatura dello Stato.
Inoltre il tirocinio comporta anche la frequenza obbligatoria e con profitto di corsi di indirizzo professionali, tenuti da Ordini e Associazioni forensi, ma l’attuazione di questa previsione necessita di un regolamento del Ministero della Giustizia.
Il decreto attuativo in questione è sicuramente tra i più importanti e delicati, toccando il futuro della professione e di chi vuole esercitarla.
Lo schema di decreto, predisposto dal Ministero della Giustizia, è stato trasmesso al Consiglio Nazionale Forense nel mese di febbraio dell’anno scorso e da questo agli Ordini circondariali e alle Associazioni maggiormente rappresentative, tra cui l’ANF Associazione Nazionale Forense. Dal 15 marzo 2016, termine ultimo, per osservazioni e pareri da parte delle componenti istituzionali e associative dell’Avvocatura non si sa più nulla, non vi è notizia dal Consiglio di Stato e dalle aule del parlamento circa la bontà o le criticità dell’adottando provvedimento.
Ciò che è noto dello schema di regolamento riguarda le disposizioni contenute, tutte di segno opposto all’affermazione di principio per cui l’ordinamento forense garantisce ai giovani l’accesso e l’esercizio della professione: frequenza obbligatoria per un periodo non inferiore a diciotto mesi, prove di accesso a numero chiuso, verifiche intermedie e finali, valutazione del “profitto” che ha caratterizzato la frequenza con criteri discrezionali, disagi dovuti alla possibilità che presso un COA non vi sia una scuola forense.

Misure minime per diventare un buon avvocato, sostengono i sostenitori più accesi di dette previsioni, ma gli stessi preferiscono ignorare che la pratica presso uno studio può, per legge, limitarsi a soli sei mesi e che l’esame di stato è un’abilitazione e non un concorso, come per quello per la carriera da magistrato e notaio, con le garanzie ad esso connesse, anche sotto il profilo economico.
Un nodo da sciogliere, infine, riguarda il pluralismo formativo e la libertà di formazione.
La previsione dello schema di regolamento secondo la quale l’accreditamento di soggetti terzi (i corsi possono essere tenuti dai COA e dalle Associazioni forensi: art. 43, L. 247/12) si perfeziona decorsi tre mesi dalla presentazione dell’istanza vuol dire, di fatto, da un lato escludere tali soggetti dalla possibilità di poter organizzare i corsi o, comunque, porre una forte limitazione temporale e organizzativa rispetto ai corsi organizzati dai COA e, dall’altro, arrecare un disagio ai tirocinanti iscritti a ordini circondariali privi delle scuole forensi ma con associazioni territoriali in grado di assicurare l’organizzazione dei corsi previsti ai fini della prescritta pratica.
L’auspicio è che l’emanando decreto favorisca realmente l’accesso alla nostra professione alle giovani generazioni, cancellando il sospetto che si vogliano in realtà creare artificiose barriere d’accesso, del tutto fuori dal tempo alla luce dell’ormai progressivo e sensibile calo degli iscritti nelle Facoltà di Giurisprudenza e nei Registri dei Praticanti.

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