“Al Ministro Orlando va dato atto di aver coltivato, con l’Avvocatura, la cultura del dialogo, confrontandosi anche con le associazioni forensi come ANF che non hanno lesinato critiche e avanzato dubbi su scelte che hanno riguardato la legge professionale e gli interventi legislativi sul processo civile e penale. La sua apertura su vicende di democrazia interna quali le regoli elettorali forensi e la conseguente l. 113/17 – esperienza che poteva essere ripetuta anche su quello delle specializzazioni e altri temi, anche di governance interna – ha contribuito al raggiungimento di un obiettivo condiviso e conferma che il ruolo delle associazioni è linfa vitale di idee e contenuti per l’intera Avvocatura. L’auspicio è che i 245.631 avvocati italiani, tanti sono alla data del 18 gennaio 2018, possano in futuro essere compartecipi di una proposta coraggiosa e responsabili sul tema della giurisdizione nel nostro paese e sull’organizzazione della professione”.
Così il segretario generale dell’Associazione Nazionale Luigi Pansini a margine dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense celebratasi, per la prima volta, alla presenza del Presidente della Repubblica Mattarella.
“Vogliamo immaginare un futuro per l’avvocatura – continua Pansini – lontano dal corporativismo, dall’autoreferenzialità, da luoghi comuni, e scevro da quelle paure che stanno accompagnando il percorso di modifiche attuate negli ultimi anni. Invece di incoraggiare i giovani ad intraprendere la professione o di favorirne l’esercizio, preparandoli ad un modo diverso e nuovo di esercitarla, pare si voglia semplicemente scoraggiarli: il nuovo esame di abilitazione ne è la prova lampante. E i corsi obbligatori con numero chiuso e verifiche intermedie e finali, previsti dallo schema di decreto ministeriale reso noto, nonché il percorso per diventare cassazionisti (alla data del 31.12.2017, sono 72.813) paiono rispondere alla stessa logica: ridurre il più possibile il numero di giovani che accedono alla professione di avvocato o la esercitano. Una scelta di comodo che nasconde l’assenza di una visione in prospettiva della professione”.
“Tema, questo del rapporto tra professione e giovani generazioni, che dovrà essere prioritario nel confronto con il prossimo ministro della Giustizia” – conclude Pansini.