Signor Presidente della Corte di Appello,
Signor Procuratore Generale della Repubblica,
Signori Magistrati e Avvocati, Autorità, Colleghi, Signore e Signori,
rivolgo a Voi tutti il saluto dell’Associazione Nazionale Forense.
Coloro che in questi giorni leggono dello stato del sistema giustizia nel nostro Paese si imbattono in numeri, statistiche, slides, elencazioni di provvedimenti e riforme: una sintesi di quella che vorrebbe essere la risposta della politica, del parlamento, della magistratura e dell’avvocatura alla domanda di giustizia dei cittadini, alle raccomandazioni dell’Europa, alle esigenze degli investitori stranieri.
A partire dall’estate del 2011 possiamo registrare ben dieci decreti legge (n. 212/11, n. 1/12, n. 83/12, n. 179/12, n. 69/13, n. 145/13, n. 90/14, n. 132/14, n. 83/15, n. 59/16) con altrettanti provvedimenti di conversione, 4 leggi di stabilità, un decreto legislativo (n. 72/2016: cd. decreto mutui), una legge delega di riforma della magistratura onoraria (n. 57/16) con un primo decreto attuativo, un disegno di legge di riforma del processo civile approvato in prima lettura (DDL Berruti) e una proposta di riforma della legge fallimentare che deve approdare ancora nelle aule del parlamento.
Interventi legislativi dalla dubbia utilità e dall’indubbia disorganicità che hanno viceversa evidenziato la necessità di studiare nuovi modelli di organizzazione del lavoro degli uffici giudiziari, di intervenire sulle cause che alimentano il contenzioso seriale e quello in cui è coinvolta la Pubblica Amministrazione nelle sue svariate articolazioni, di saper scorgere per tempo il sorgere di nuovi diritti legati all’evoluzione tecnologica e ai rapporti sovranazionali in una società, quale quella italiana, il cui tasso di litigiosità è pari a quello francese e spagnolo senza, però, che ciò abbia a che fare con il numero di avvocati in Italia.
Tuttavia, ad una continua decretazione di urgenza non possono opporsi riflessioni e considerazioni “d’urgenza” perché l’idea di giustizia, con i modelli e le pratiche che ne caratterizzano attività e finalità, è da anni al centro di una profonda trasformazione che è necessario comprendere ed analizzare per il suo impatto nella società e nei rapporti ad essa sottostanti.
La riforma del processo civile contenuta nel DDL Berruti spinge per la specializzazione del magistrato togato su materie individuate sulla scorta delle nuove dinamiche che muovono la società italiana e la collocano in realtà sovranazionali e la più volte annunciata revisione geografica delle corti di appello sembra rispondere alle medesime esigenze.
Viceversa, la riforma della magistratura onoraria, con la previsione, tra le altre, che il semplice laureato possa assicurare “giustizia” e con l’ampliamento delle competenze civili e penali e l’introduzione di nuove competenze esclusive, disegna un diverso circuito per la tutela di diritti differenti da quelli la cui trattazione è riservata alla magistratura togata; inoltre, è in corso la discussione sulle “questioni di modesta entità” (cd. small claims), tutte da individuare, e sull’opportunità che non siano portate all’attenzione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria ma affidate a giudici onorari ad hoc.
Da ultimo, la possibilità per gli istituti bancari di realizzare il proprio credito senza ricorrere al processo esecutivo è un segno tangibile degli interessi che legislatore e politica preferiscono privilegiare.
Quanto al processo penale, si avvertono i primi segnali di un’analoga trasformazione.
Probabilmente fuori luogo potrebbero apparire espressioni come “lo Stato ha privatizzato la giustizia” oppure come “lo Stato ha abdicato alle sue funzioni”, ma un’idea di giustizia e di giurisdizione diversa da quella con cui eravamo abituati a confrontarci è già realtà, tradotta in norme di legge vigenti.
In altre parole, occorre spiegare ai cittadini e a tutti i fruitori di giustizia, i quali ancora non comprendono il perché senza criterio di condizioni di procedibilità della domanda e degli aumenti del contributo unificato, che in un futuro assai vicino le controversie saranno definite non necessariamente da un giudice e in luoghi anche diversi dalle aule dei tribunali.
I metodi alternativi di risoluzione delle controversie risentono dei limiti dell’assenza di un reale confronto sul tema “giustizia” fra tutti i soggetti interessati, oltre che di un’impostazione – anche dal punto di vista terminologico – fortemente deflattiva del “carico del lavoro giudiziario”; di ADR si discute in tutti i possibili consessi ingenerando nell’opinione pubblica l’equivoco di un’equivalenza tra modelli (quello processuale e quello al di fuori del processo), mentre è evidente che l’applicazione delle norme è cosa ben diversa dal risolvere o anticipare una lite su base volontaristica e utilitaristica e che il proliferare di strumenti alternativi pregiudica le potenzialità di un sistema di più ampio respiro e rallenta l’affermazione di una nuova cultura della risoluzione delle controversie improntata sulla scelta consapevole tra modelli alternativi egualmente efficaci.
L’auspicio, allora, è quello di una riflessione profonda che veda coinvolti tutti i soggetti della giurisdizione, la politica, le istituzioni anche economiche, e che muova dall’individuazione delle priorità da perseguire, di un migliore collegamento tra diritti tutelabili e differenti circuiti di giurisdizione, di modelli realmente alternativi da offrire al cittadino e alle imprese, e dalla relativa necessaria sinergica organizzazione.
Una riflessione di tale portata, però, deve lasciarsi alle spalle, da un lato, il ruolo di eterna supplenza della magistratura e, dall’altro, una lettura distorta del riconoscimento del ruolo dell’Avvocatura, a clausola di invarianza finanziaria per lo Stato, per l’assolvimento di compiti e funzioni finalizzati alla deflazione del contenzioso giudiziario.
Il senso di responsabilità e di collaborazione dell’Avvocatura non può, sulla lunga distanza, renderla l’eterna stampella di uno Stato con pochi mezzi, risorse e volontà, per far fronte alle necessità e al mantenimento della giurisdizione pubblica.
L’Avvocatura – dal canto suo – non si lasci impressionare dai numeri dei processi, che fotografano semplicemente lo stato dell’arte della giustizia civile in Italia e non l’impatto della decretazione di urgenza, né accetti la compressione della giurisdizione pubblica come atto di fede in cambio del riconoscimento di misure ibride dal breve respiro, prive di prospettiva e di una visione a lungo termine per le giovani generazioni, che nulla hanno a che fare con il necessario ammodernamento della professione, ma pretenda sul tema un confronto alla pari assicurando contributi ed idee e rifuggendo pregiudizi e tentennamenti.
Una visione d’insieme e, soprattutto, una condivisione integrale di un progetto da parte di tutti gli operatori (avvocati, magistrati e operatori di cancelleria) le abbiamo già sperimentate con il PCT: la telematizzazione del processo, ieri nel civile, oggi nel penale e nel processo amministrativo, è stata possibile, vincendo anche sacche di resistenza interne, solo in forza di una comune e condivisa finalità da perseguire.
La sinergia tra i vari soggetti della giurisdizione è ormai un percorso necessario e irreversibile; in questo senso, quindi, è naturale la presenza degli avvocati nei consigli giudiziari e negli uffici legislativi del ministero, con funzioni fino a ieri riservate a pochi, e benefico è il loro graduale e sempre maggiore coinvolgimento in tutti i gangli della macchina giustizia della quale sono, al pari di tutti gli altri soggetti, co-protagonisti.
Non si tratta di un’attività lobbistica dell’Avvocatura (le cui istituzioni devono abbandonare una visione della professione fuori dal tempo e dallo spazio in cui è esercitata e lavorare per un futuro, anche di reddito, per le donne e per i più giovani) o del tentativo di alcuni di ledere o minacciare l’indipendenza della magistratura o di chi opera quotidianamente negli uffici giudiziari ma di offrire al legislatore, alla politica e ai cittadini un’idea di giurisdizione e di giustizia pensata, condivisa, discussa e realizzata insieme, senza primazie o primogeniture, al fine di non accentuare le possibili disuguaglianze che derivano da un sistema che funziona poco e male e dalle quali, proprio oggi, in questa sede e ancora una volta, tutti i presenti intendono ripartire per combatterle e superarle.
Bari, 28 gennaio 2017.
Associazione Nazionale Forense
Luigi Pansini