La relazione del segretario generale Pansini all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2020

CORTE DI APPELLO DI BARI

INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2020

 

L’intervento di Luigi Pansini, Segretario Generale ANF

 

Signor Presidente della Corte di Appello,

Signor Procuratore Generale della Repubblica,

Signori Magistrati e Avvocati, Autorità, Colleghi, Signore e Signori,

 

rivolgo a Voi tutti il saluto dell’Associazione Nazionale Forense.

La cerimonia di quest’anno è sicuramente particolare per quello che noi dovremmo lasciare alle nostre spalle e per quello che ci aspetta d’ora in avanti.

E il “noi” non è casuale, siamo gli avvocati e i magistrati insieme che, sia pure con ruoli e funzioni diverse, condividiamo fortune e sfortune della giurisdizione del nostro paese.

Dovremmo essere pronti ad affrontare una nuova stagione di riforme che potrebbero radicalmente cambiare l’assetto del processo penale, di quello civile, dell’ordinamento giudiziario, della giurisdizione, e il nostro contributo da operatori del diritto su questi temi, soprattutto in quest’ultimo anno, è stato offuscato da fenomeni che ci riguardano direttamente o indirettamente.

Innanzitutto, se fino a ieri la nostra preoccupazione era quella di evitare che un’idea di società basata esclusivamente su precetti economici e di mercato potesse allentare in qualche modo l’effettività della tutela dei diritti, oggi la nostra priorità è rappresentata dalla necessità di contrastare e disvelare gli stereotipi di una narrazione della giurisdizione, secondo la quale il consenso è il criterio guida di ogni decisione in materia di giustizia, e la pericolosità di una comunicazione mediatica, anche istituzionale e governativa, che addirittura ridicolizza i diritti delle persone.

Altra priorità, e questa ci riguarda ancor più da vicino, riguarda la crisi delle forme di autogoverno dell’avvocatura e della magistratura, rispetto alla quale è nostro compito reagire proponendo modelli che esprimano identità e valori nei quali riconoscersi e non sistemi dai quali difendersi continuamente.

Fenomeni, questi, che si intrecciano con la realtà di tutti i giorni ma soprattutto con la narrazione e i numeri che precedono l’inaugurazione dell’anno giudiziario, quando l’illustrazione delle risorse destinate al comparto giustizia la fa da padrone.

Ed eccoli: 70 nuovi magistrati per la Corte di Cassazione; la revisione delle piante organiche degli uffici giudiziari di merito con la distribuzione di 600 magistrati, quasi 8.000 reclutamenti nel prossimo triennio relativi al personale non dirigenziale, nuove assunzioni di operatori e assistenti giudiziari, un nuovo concorso per la copertura di quasi 2.300 posti da funzionario, quasi nove milioni di euro stanziati nell’ultima legge di bilancio.

Non possiamo che esprimere soddisfazione.

Tuttavia, se dobbiamo credere a questi numeri, e non abbiamo alcun motivo di dubitarne, dobbiamo allora credere anche ai numeri indicati e riportati in altri documenti e relazioni ministeriali e, soprattutto, dovremmo poter contare sempre su una comunicazione istituzionale ispirata a trasparenza, verità e lealtà, che traduca tutti i numeri del comparto giustizia in interventi del legislatore mirati e rispondenti alle criticità laddove realmente riscontrate, senza etichettare con superficialità come epocali riforme processuali che di epocale hanno solo il poco e il nulla.

Dovremmo, poi, poter contare anche su pratiche legislative più virtuose che, nei lavori preparatori di una legge, come quella che ha riguardato, per esempio, la prescrizione nel processo penale, forniscano una descrizione non datata ma attuale e reale del fenomeno da regolamentare, riportando – magari – anche i dati relativi al numero complessivo delle iscrizioni annuali nel registro delle notizie di reato; alla durata media dei procedimenti nelle diverse fasi (indagini preliminari, udienza preliminare, dibattimento e successivi gradi del giudizio); agli effetti della riscrittura dell’art. 159, co. 2 e 3, c.p., dei d.lgs. di c.d. depenalizzazione, della “messa alla prova degli adulti”, dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto; «all’attesa degli atti di impugnazione in Corte d’Appello; alla predisposizione dei fascicoli da trasmettere, alla loro collazione e trasmissione e alle altre incombenze di carattere procedurale che consumano in buona parte il “tempo” processuale».

Questi dati, ignorati, disponibili, facilmente reperibili e comprensibili, rendono evidenti la pretestuosità delle nuove norme in materia di prescrizione e la priorità di un ripensamento del processo penale, a partire dalle modalità di acquisizione della notizia di reato e dalla telematizzazione e fino alla sua conclusione.

Sicuramente conforta, sul punto, l’opinione espressa ieri dal Primo Presidente della Cassazione nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Roma.

In ogni caso, senza rivendicazioni di categoria, è nostro dovere sottolineare e ribadire l’imprescindibilità di un processo penale che si celebri nel rispetto della Costituzione, della presunzione di non colpevolezza, della funzione riabilitativa della pena, del diritto di difesa e delle garanzie per tutti i soggetti che ne sono coinvolti e che non sia invece il frutto di un approccio punitivo e ideologico che vuole le persone “marcire in galera”.

Ben vengano, quindi, iniziative capaci di esprimere e di far comprendere l’idea di processo penale che vogliamo, confrontiamoci anche duramente, ma stigmatizziamo gli eccessivi isterismi, i facili entusiasmi e le ricette curative e personali che si registrano sui balconi, sui social, sulla stampa e in televisione.

L’auspicio, inoltre, è che la passione che sta animando lo scontro-confronto sul processo penale caratterizzi in futuro anche la discussione e il confronto sul progetto di riforma del processo civile, depositato in Senato all’inizio dell’anno.

Sempre figlio di un dio minore, ma causa principale delle flessioni in termini di PIL dell’economia del paese, il processo civile ci dice che per il terzo trimestre consecutivo il numero dei procedimenti a “rischio Pinto” in Cassazione è aumentato e che minimo è il calo dell’arretrato da indennizzo dinanzi ai tribunali e alle corti di appello.

Un’emergenza sempre taciuta a beneficio dell’annuncio di una riforma epocale che non spiega il perché sia scontata la circostanza che la durata del processo civile dipende dal rito e da quali elementi si trae la convinzione dichiarata che la semplificazione proposta ridurrà del 50% la durata dei procedimenti.

Semmai, è già emerso il contrario; e, cioè, che il progetto di riforma non sembra essere diretto alla “semplificazione”, che il nuovo rito non consente di definire “il perimetro della causa” prima della prima udienza e non elimina “i tempi morti”.

E ciò, paradossalmente, quando lo stesso Ministro della Giustizia ci informa che il contenzioso è calato del 36% negli ultimi 10 anni. Il che dovrebbe far ragionevolmente concludere che la potenza di fuoco sviluppata, senza andare troppo per il sottile, con le modifiche legislative degli ultimi anni, in qualche modo, ha colpito nel segno. E logica conseguenza sarebbe, come tutta l’Avvocatura va ripetendo da tempo, purtroppo inascoltata, non toccare il rito, in attesa che si consolidino risultati già acquisiti.

Invece, ci sentiamo ripetere che le riforme “ce le chiedono i cittadini” o che “le riforme vanno guardate con gli occhi dei cittadini”; noi rispondiamo che la tutela dei diritti delle persone passa, non per il consenso popolare, ma per un “giusto” processo civile che, nel rito che noi tutti conosciamo, si articola in una serie di passaggi obbligati dei quali occorre sicuramente eliminare, senza epocali stravolgimenti, le contraddizioni esistenti e ciò al fine di assicurare una stabilità delle regole processuali funzionale ad una sempre migliore risposta, anche nei tempi, alla loro domanda di giustizia.

Infine, i disegni di legge delega depositati o annunciati recano anche la riforma del CSM e del sistema di rappresentanza e di autogoverno della magistratura.

Le degenerazioni sono da condannare e da estirpare ovunque si manifestino e la discussione e il confronto, anche duri, sul tema devono essere scevri da spinte demagogiche perché la riforma dell’ordinamento giudiziario, nel rispetto della Costituzione, si traduce in efficienza e qualità della giurisdizione alle quali nessuno intende rinunciare.

Il nostro sguardo, quindi, non è disinteressato, anzi riteniamo indispensabile la presenza degli avvocati nei consigli giudiziari e negli uffici legislativi di via Arenula, ma se rimarchiamo il nostro auspicio per un sistema di rappresentanza e di autogoverno della magistratura giusto ed equilibrato è perché l’Avvocatura, dal 2012, sta pagando sulla propria pelle l’approvazione di una riforma ordinamentale frettolosa e superficiale che ha tradito lo spirito liberale della professione e che ci sta dilaniando al nostro interno.

La modernizzazione che ci era stata promessa si è rivelata un bluff bene orchestrato, se è vero che da anni le nostre istituzioni, circondariali e nazionali, fortunatamente non tutte, sono coinvolte in un contenzioso giudiziario senza fine per difendere, sfortunatamente, un’idea autoreferenziale di rappresentanza che non ha mai avuto ragione di esistere e quella stessa politica del consenso che all’esterno vogliamo contrastare perché siano le regole e il diritto a prevalere.

Avvocati e giudici che possano contare su loro istituzioni e forme di rappresentanza sane, democratiche, autorevoli, sono la risposta a noi stessi, al nostro bisogno di un’identità collettiva, pur nella diversità di compiti e funzioni.

Gli avvocati, come sempre, sono pronti a fare la loro parte, facendosi carico, come già è avvenuto in passato, di supportare la funzione giurisdizionale quando viene loro chiesto. Nella generale consapevolezza, però, che non si possono pretendere soluzioni al ribasso, che mettano in pericolo la nostra dignità e il nostro ruolo, oltreché il diritto di difesa costituzionalmente garantito.

Concludo auspicando per tutti noi un 2020 meno frenetico e più stabile dell’anno appena archiviato: è questo che serve davvero ai cittadini, che mai come in questo momento, di grande confusione e di grandi cambiamenti, hanno bisogno di recuperare fiducia nella giustizia e in coloro che, ai loro occhi, la incarnano.

Noi avvocati. Voi magistrati.

 

Bari, 1° febbraio 2020.

 

Luigi Pansini

Segretario Generale Associazione Nazionale Forense

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