Questa la proposta per la riforma del processo civile (disegno di legge delega AS 1662): “prevedere, nell’ambito del libro secondo del cpc, che il Giudice in prima udienza:
a) quando ritenga che la causa possa essere immediatamente decisa, anche su una questione pregiudiziale o preliminare, diritto o di merito, inviti le parti a precisare le conclusioni ed avvii la causa in decisione;
b) in ogni caso, ferme restando quanto al contenuto le tre memorie come previste dall’attuale articolo 183, comma 6°, ove le parti ne richiedano la concessione, possa modulare i relativi termini da un massimo di ottanta fino ad un minimo di quaranta giorni complessivi, tenuto conto delle circostanze di causa”.
Poche righe per ribadire e rafforzare tutti insieme un’idea del processo che oggi – tutti lo riconoscono – ha raggiunto il suo perfetto equilibrio e nel cui ambito tutto gli operatori si muovono con sicurezza.
Un processo non punitivo e capace di assicurare l’adozione di decisioni che rispecchiano l’effettivo stato della situazione sostanziale controversa, rispetto al quale oggi sono necessarie, con una seria e disciplinata destinazione delle risorse del PNRR, una ristrutturazione e nuova organizzazione, anche manageriale, di tutti gli uffici giudiziari e del lavoro al loro interno, la completa e semplificata telematizzazione delle comunicazioni, una riforma definitiva della magistratura onoraria, e al quale affiancare strumenti alternativi supportati da incentivi fiscali e modulati tra loro per materia e per efficacia attentamente verificata dopo dieci anni di obbligatorietà. È l’unica ed ultima occasione per sfruttare al meglio risorse disponibili dopo anni di invarianza finanziaria e per realizzare un ufficio del processo utile e non precario.
Poche righe e chiari principi servono anche per rimarcare il nostro pensiero sul processo penale; leggiamo dei quesiti referendari e della fiducia posta sulla riforma, condivisibile l’idea di un sistema sanzionatorio non più basato esclusivamente sul carcere ma per nulla condivisibili sono le proposte in tema di impugnazioni e prescrizione che sembrano di fatto certificare un’incapacità di regolamentare diversamente e correttamente la ragionevole durata del processo.
E poi, l’ordinamento giudiziario.
Ieri ci siamo misurati con un disegno di legge ministeriale, oggi siamo chiamati a misurarci con un possibile riformato disegno di legge targato CSM e magistratura.
Gli elementi di trasparenza, responsabilizzazione e valutazione dei magistrati presenti nell’originario disegno di legge, nella relazione della commissione ministeriale, presieduta da uno dei massimi sostenitori dell’avvocato in costituzione, non ci sono più.
Qual è l’esito? Loro non sono valutabili.
E allora è ovvio che, se non interveniamo sul reclutamento dei magistrati, se non interveniamo sulle reali cause che frenano i tempi della giustizia, perché i magistrati non sono né valutabili né sanzionabili su questo piano, non resta altra leva, per diminuire il numero dei procedimenti, che quella di intervenire direttamente sulle regole processuali.
A questo punto, però, si aggiunge un’altra riflessione, forse la più importante.
In tutte le commissioni ministeriali istituite dalla Ministra Cartabia, la magistratura, la cui credibilità – stando ai sondaggi – è ai minimi storici, è presente, scrive, condiziona; noi non ci siamo, l’Avvocatura non c’è.
Nessuno lo dice, nessuno se ne assume la responsabilità.
La nostra costante mancanza di autocritica, accompagnata da qualche aperitivo sulle terrazze di Roma per reclamare le attenzioni della politica, è da anni la principale causa d’inefficacia della nostra azione; ciò nonostante, in questa sessione ulteriore viene chiesto ai delegati congressuale di dare ampio mandato su tutto lo scibile umano in tema di giurisdizione e professione. Con una discussione di poche ore, poco partecipata, e con uno storytelling di condivisione e preparazione preventiva non rispondente al vero.
Ci viene chiesto un ampio mandato anche sulla legge ordinamentale del 2012.
Crisi pandemica, tecnologia, domande per il reddito di ultima istanza e welfare universale e imminente riforma del nostro sistema previdenziale impongono un veloce e netto cambio di rotta.
Interrogarsi sulle modalità di iscrizione agli albi, sulla possibilità che coesistano diverse “figure” di avvocato a seconda dell’ambito in cui la professione è esercitata; interrogarsi su una revisione dell’attuale iscrizione obbligatoria a Cassa Forense e del regime delle incompatibilità; aprire definitivamente alle società multidisciplinari e alle reti; coltivare il percorso di riforma del sistema di accesso avviato con il decreto emergenziale per la sessione 2020 dell’esame di abilitazione e un’idea seria e libera di specializzazione. Queste, a nostro avviso, le priorità ineludibili.
Riflettiamo, inoltre, sull’impotenza attuale del sistema ordinistico rispetto al fallimento della legge professionale del 2012 e del suo modello di governance nazionale e circondariale, alle continue evoluzioni della società e delle realtà nelle quali operiamo; la proposta di tre mandati per gli ordini circondariali, con l’asserita necessità di una stabile maggioranza, o la reintroduzione dei minimi tariffari sono risposte senza futuro, prive di prospettiva, coraggio e visione.
“La situazione è grave ma non seria”; l’auspicio, quindi, è che questa sessione ulteriore non releghi ancora una volta noi stessi in quella condizione psichica di precarietà che ci portiamo dietro da anni e in una crisi collettiva d’identità che sfocia in qualche proroga congressuale, narcisistiche mozioni ed ennesimi compromessi al ribasso.
Potenzialmente la più pericolosa delle situazioni.
Tutti sanno della sentenza della Corte di Appello di Roma; è evidente che le acclamazioni portano male.
E allora, se questa sessione ci è stata presentata come una sessione improntata alla discussione e al confronto, non è normale che l’organismo che rivendica sempre di essere il rappresentante politico dell’avvocatura, non é normale che organizzi, scriva le mozioni, giudichi quelle degli altri, e voti le sue stesse mozioni.
Su questo metodo abbiamo già dato. E a questo metodo oggi come allora diciamo: “no, grazie”.