Professione legale e giurisdizione i temi su cui puntare

Al Ministro della Giustizia va riconosciuto il merito di aver portato a compimento, e in tempi brevi, un concorso per operatori di cancelleria dai numeri esorbitanti, di aver subito proceduto all’assunzione degli idonei, di aver previsto – con la legge di bilancio per il 2018 – il reclutamento di giudici ausiliari per far fronte al contenzioso tributario pendente dinanzi alla Corte di Cassazione e di aver contribuito, con altri giudici ausiliari, a rendere meno gravoso il carico delle corti di appello.

A fine legislatura possiamo, quindi, affermare che maggiori risorse, sia pure centellinate, incidono più dei continui e scomposti interventi sulle regole processuali di questi anni, non tutti necessari e nonostante il freno alla domanda di giustizia legato al contributo unificato, alla previsione di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie in quasi tutte le aree del diritto, ai rimedi preventivi della “legge Pinto” prossimamente al vaglio della Corte Costituzionale.

Questa rinnovata attenzione prestata alle sorti del “settore giustizia” sembra addirittura ribadire la centralità della giurisdizione nel nostro ordinamento e riconsiderare nel loro reale significato quell’insieme di numeri e statistiche, dalla non sempre chiara formulazione, che viene illustrato ogni trimestre e in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario e al quale corrisponde un modello di processo civile incentrato su rapporti economici che in esso “devono trovare la loro espressione più intensa e la cui buona salute è determinante per costruire un ordinamento favorevole alla crescita economica”.

I numeri, che appartengono a chi del diritto in genere e del processo ha una concezione “puramente meccanicistica, burocratica e freddamente consequenziaria”, hanno comunque una loro indubbia utilità.

Consentono, infatti, di affermare che sino a ieri si è consumata un’informazione distorta sullo stato della giustizia civile in Italia, caratterizzatasi più per la “paura” del numero delle cause pendenti (senza spiegare che in esse, però, sono compresi anche i decreti ingiuntivi, i procedimenti di volontaria giurisdizione diversi da quelli di competenza del giudice tutelare, le separazioni consensuali, le nomine di amministratori giudiziari di condominio) e per i continui e discutibili interventi sul processo piuttosto che per una migliore valutazione di insieme delle risorse umane e finanziarie a disposizione, dell’esatta classificazione statistica dei procedimenti, dell’organizzazione del lavoro negli uffici giudiziari.

I numeri sono serviti a mischiare le carte e a nascondere il vero e il vero è che il mercato, rispetto alla giustizia, è qualcosa che riguarda e tocca un numero limitato di persone mentre la giustizia, rispetto al mercato, riguarda e tocca tutti.

I numeri sono uno strumento per comprendere e migliorare il funzionamento della giurisdizione e del processo, ma i numeri non sono la giurisdizione e non sono il processo.

Nel civile, poi, quello di introdurre, nel collegato fiscale e nella legge di bilancio, il rito semplificato di cognizione di primo grado è stato un tentativo fortunatamente sventato ma inaccettabile, nel metodo e nel merito.

E non perché rispetto ad esso ci si ponga in termini di pregiudizio e resistenza ma perché, prima dell’ennesima riforma, dovremmo capire se il processo civile è ancora nella disponibilità delle parti; se le ADR sono uno strumento a base volontaria che non risente dell’invasività del processo con mediazione delegata; se il futuro appartiene, da un lato, a magistrati togati sempre più specializzati, con ufficio del processo, stagisti e specializzandi e, dall’altro, a magistrati onorari senza mezzi e senza risorse; se domani distingueremo, sul piano della tutela, i diritti di rango superiore da quelli di rango inferiore.

D’altro canto, però, possiamo dire che il ricorso è l’unico atto idoneo per l’instaurazione di un giudizio. La forma del ricorso la impone il processo telematico, che oramai investe anche le aree del penale, dell’amministrativo e del tributario. Inoltre, vi è la necessità di identiche piattaforme informatiche per avvocati, magistrati e operatori di cancelleria, con un adeguato servizio di assistenza a supporto e un’alta formazione di tutti gli operatori telematici.

É la semplificazione del processo telematico, alla quale si deve affiancare quella dei riti processuali, sempre rimandata.

L’Avvocatura, se oggi più che mai rivendica un ruolo esplicitamente consacrato nella Costituzione, non può sottrarsi al confronto sul tema della giurisdizione in Italia e subire riforme scritte da altri; anzi, consapevole che non tutto può essere portato fuori dal processo, deve farsi portatrice di una sua precisa proposta,che vada ben oltre i semplici protocolli, e che non sia di retroguardia e di  di risulta rispetto ad una giurisdizione forense che allo stato non ha dato i risultati sperati.

Ruolo e autorevolezza dell’Avvocatura, inoltre, si misurano in termini non di equo compenso ma di capacità di saper governare i cambiamenti e di saper fare autocritica, ridisegnando la professione e rimettendo mano ad una legge ordinamentale troppo frettolosamente approvata che, dopo solo cinque anni, ha mostrato tutti i suoi limiti.

L’entrata in vigore della L. 31.12.2012, n. 247, risale, infatti, al 2 febbraio 2013.

E già dobbiamo registrare gli incisivi interventi del giudice amministrativo, su specializzazioni e regole per la composizione dei COA (a seguito dei ricorsi ANF), e del legislatore, con le società di capitali tra avvocati, che ANF ha salutato con favore, e le norme del job’s act sul lavoro autonomo.

Il TAR si pronuncerà a breve sui corsi obbligatori ai fini del conseguimento del titolo di cassazionista e il tema degli avvocati che lavorano in regime di mono-committenza (sans papier), considerato anche l’avvento delle sta e delle stp, dovrà essere affrontato una volta per tutte.

E il Consiglio Nazionale Forense, al suo interno, dovrà istituire la sezione disciplinare prevista dalla legge.

La nostra legge professionale, difficile negarlo, è inadeguata: anziché favorire l’esercizio della professione, lo limita fortemente e negativamente.

Occorre riformarla. E al più presto.

Tuttavia, l’urgenza di oggi riguarda le giovani generazioni.

Un’Avvocatura responsabile, rispettosa del principio sancito nella L. 247/12 secondo cui l’ordinamento forense “favorisce l’ingresso e l’accesso alla professione, in particolare alle giovani generazioni, con criteri di valorizzazione del merito”, deve allontanare la tentazione di riversare su di esse le difficoltà di questi ultimi anni spacciando per meritocrazia un esame di abilitazione senza codici annotati che non si ha il coraggio di riformare per non intaccare rendite di posizione o, peggio, avallando anche l’adozione del decreto ministeriale sui corsi obbligatori delle scuole forensi ai fini del tirocinio che, nel testo inoltrato dal ministero, prevede il numero programmato, le verifiche intermedie e finali, la valutazione della frequenza con profitto rimessa alla discrezionalità di commissioni ad hoc istituite, la negazione della libertà di formazione e del pluralismo dell’offerta formativa.

Insomma, giurisdizione e professione: due grandi temi sui quali, nell’anno del congresso ordinario ANF di Palermo, di quello nazionale forense di Catania e del nuovo parlamento che verrà, l’Associazione Nazionale Forense continuerà a spendersi.

Luigi Pansini, segretario generale A.N.F.

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