Libero. di Filippo Facci –
Giustizia: la notizia la trovate al punto 5, ma intanto voi provate ad assemblare gli spunti schizofrenici di questi giorni: 1) La figuraccia dei manettari alla Travaglio, che hanno mostrato (…) segue a pagina 13 segue dalla prima (…) di ignorare l’articolo 66 della Costituzione secondo il quale ogni Camera “giudica” la decadenza di un senatore (Augusto Minzolini) e non si limita a recepire le sentenze dei magistrati; 2) Lo spazio concesso alla solita Associazione nazionale magistrati, che si è detta indignata perché i sospetti sulla parzialità di un giudice ex parlamentare (giudice che ha condannato Minzolini) «costituiscono un grave attacco alla giurisdizione e ne minano la credibilità agli occhi dei cittadini»; 3) Il fresco sondaggio Swg, secondo il quale la credibilità dei magistrati tuttavia è già minata di suo: il 69 per cento degli italiani, infatti, pensa che la magistratura persegua fini politici; 4) La reazione al sondaggio da parte di Piercamillo Davigo (Anm) secondo il quale «i sondaggi sono sempre da prendere con le pinze», diversamente da quello fornito da Davigo secondo il quale il consenso verso i magistrati sarebbe salito negli ultimi due anni; 5) Ed eccoci alla notizia completamente ignorata dai media di questi giorni, segno evidente che il diritto alla difesa, in Italia, è messo male a dir poco: gli avvocati hanno indetto dieci giorni di sciopero (dieci sono tanti) perché la riforma del processo penale, quella che sta passando alle Camere, non gli piace per niente, e francamente neppure a noi. Avessero scioperato i magistrati, anche solo per dieci minuti, apriti cielo. Morale: i succitati spunti schizofrenici evidenziano un quadro sempre più incasinato in cui l’opinione dell’altra metà del tribunale (gli avvocati, appunto) non è tenuto in considerazione neppure quando appare non solo condivisibile, ma persino ovvio. Serve poco, infatti, per avvertire il rischio che la nuova riforma governativa sortisca l’effetto contrario rispetto ai suoi propositi: che possa, cioè, comprimere i diritti degli accusati e rendere i processi interminabili. Serve poco, pure, per avvertire il rischio che il baricentro del processo possa restare semplicemente dov’è – ossia nelle indagini preliminari, enfatizzate e mediatizzate – relegando i dibattimenti decisamente in coda. Lo snodo resta uno: la famigerata prescrizione. L’accordo è l’esito di una trattativa tra Pd, Ncd e magistrati, un compromesso impossibile (all’italiana) che allungherà i tempi della prescrizione ma neppure troppo: 36 mesi, tre anni, con l’orologio che si fermerà temporaneamente solo dopo il primo grado di giudizio e resterà bloccato per 18 mesi in appello e 18 in Cassazione: poi ricomincerà a girare. Domanda banale: servirà a qualcosa? Non è chiaro a nessuno. L’Associazione magistrati avrebbe voluto che la prescrizione si fermasse dopo il primo grado e basta, mentre gli avvocati (intesi come Unione delle camere penali) ha cercato di far notare, ancora una volta, un dato inequivocabile ma che pare non interessare: che il 70 per cento delle prescrizioni matura durante le indagini preliminari, quando il processo non è neppure iniziato, ergo: la responsabilità è dei magistrati che se la dormono. Che fare? Niente, secondo la riforma che sta passando. Oppure, ecco, si potrebbe aggravare la situazione: basterebbe abolire completamente la prescrizione sin dall’inizio delle indagini preliminari, come piace ai grillini e ai forcaioli del “Fatto quotidiano”: e tanti saluti alla ragionevole durata del processo, con gli imputati lasciati in balia eterna del tritacarne giudiziario. È il messaggio che la semplificazione grillina sta cercando di far passare: la prescrizione – dice – è solo un’invenzione diabolica per assicurare impunità ai colpevoli, soprattutto ai politici corrotti. La corruzione – dato 2015 riguarda solo il 3,5 per cento delle prescrizioni totali, ma rappresenta il 99 per cento di ciò che si discute in tv quando si parla di giustizia. Intanto gli avvocati scioperano. È una notizia. Praticamente in esclusiva