Il Consiglio di Stato, a due anni dall’annullamento in parte qua (elenco delle materie e colloquio per il conseguimento del titolo di avvocato specialista) del DM 12.8.2015, n. 144, con il parere n. 1347 di maggio scorso, nel formulare le sue osservazioni sulla nuova bozza di regolamento recante, in attuazione dell’art. 9 della legge professionale n. 247/12, la disciplina delle specializzazioni forensi, ha invitato il Consiglio Nazionale Forense e il Ministero della Giustizia ad avviare una preliminare indagine sull’impatto regolatorio in materia.
La lettura del parere è decisamente interessante.
L’espressione “servizi legali” è utilizzata ben nove volte; i termini “mercato”, “offerta” e “domanda”, rispettivamente, cinque, sette e quattro.
Anche sull’idea di “specializzazione”, sulle finalità e sull’approccio alla materia, il giudice amministrativo è chiaro: “l’obiettivo perseguito dalla disciplina in oggetto è quello di definire aree di specializzazione nell’offerta dei servizi legali nella sua più recente evoluzione. La definizione della specializzazione è dunque funzionale ad una migliore qualità del servizio legale offerto alla clientela consentendo di segmentare il mercato e di ridurre i costi di ricerca per i clienti. Certamente questo obiettivo deve prevalere su quello della coerenza con le ripartizioni dogmatiche recepite negli ordinamenti universitari che seguono logiche ed obiettivi diversi”. E ancora: “…le aree di specializzazione definite dal decreto non dovrebbero solo riflettere l’assetto attuale ma, per quanto possibile, anticiparne l’evoluzione facendo in modo che vi sia un’offerta adeguata quando la domanda di servizi legali evolverà con il maturare di nuove esigenze”.
La leggerezza e la naturalezza dei riferimenti al “mercato” e alla “domanda” e “offerta” di “servizi legali” sono disarmanti, mettendo subito a tacere i residui e tardivi tentativi di una discussione sul tema.
Invece, intravedere nel parere del Consiglio di Stato e, andando a ritroso nel tempo, nel Job’s Act per i lavoratori autonomi (L. 81/2017), nell’unica legge per la concorrenza e il mercato (L. n. 124/17), nella “riforma Monti delle professioni” del 2011-2012, nel “decreto Bersani” del 2006 e nelle indagini conoscitive dell’AGCM sulle professioni del 1997 e del 2009, una sottile linea rossa che disegna, con tutti i suoi limiti, un probabile futuro prossimo, significa guardare in faccia la realtà e prendere definitivamente atto che anche la nostra è una professione in continua evoluzione.
Insomma, il parere del Consiglio di Stato è la sveglia che suona, l’ennesimo invito all’Avvocatura a guardare fuori, avanti e in prospettiva, ad abbandonare la pretesa di dettare modelli organizzativi e formativi “classici”, corporativi ed uguali per tutti coloro che svolgono la professione.
Certo, molti storcono ancora il naso dinanzi all’idea di un “servizio legale”, altri maledicono il “decreto Bersani” quale causa di tutti i mali dell’avvocatura, altri ancora pensano che la legge ordinamentale forense del 2012 abbia neutralizzato la spinta liberalizzatrice delle professioni contenuta nella “riforma Monti” del 2011-2012, ma la realtà è che CNF e Ministero della Giustizia, oggi, hanno promosso una consultazione strutturata sul tema del rapporto fra “domanda” e “offerta” di “servizi legali” che dovrà definire le aree di specializzazione nella loro recente evoluzione e in quella futura.
Evidentemente, anche per loro come per tutti, è assai difficile negare che la professione di avvocato, oltre alla componente intellettuale, ha anche natura economica.
Però, è altrettanto difficile dire se l’indagine richiesta dal Consiglio di Stato sul rapporto tra “domanda” e “offerta” di “servizi legali” possa, da un lato, rilanciare un dibattito laico sulla professione che si discosti dall’idea che solo l’Avvocato in Costituzione e l’equo compenso possano favorirne crescita e sviluppo e, dall’altro, indurre a reinterpretare lo spirito e le finalità (soprattutto) del “decreto Bersani” e della “riforma Monti” in termini di sfide e opportunità per il futuro ancora tutte da cogliere.
Questo significherebbe ammettere che la nostra professione, al pari di tutte quelle intellettuali, poiché ha natura economica, non può dirsi estranea alla logica della concorrenza; che “il merito – che ha tra i principali ingredienti la competizione – non sempre è riconosciuto” in una professione che sembra costantemente perdere appeal e che, peraltro, è fortemente caratterizzata dal fenomeno del “career following” (“propensione dei figli di liberi professionisti a seguire le tracce genitoriali”; il rapporto della Banca d’Italia sulla mobilità intergenerazionale nelle professioni è del 2018); che l’attuale assetto corporativo di controllo sulla formazione e l’aggiornamento non ha dato i risultati sperati; che non c’è prova che il minor prezzo praticato equivale a minore qualità della prestazione; che va completamente rivisto il sistema di auto-regolamentazione, “con una netta separazione nelle funzioni degli ordini tra quelle esercitate in nome e per conto dello Stato a tutela dell’integrità della professione e quelle che dovrebbero perseguire l’obiettivo di favorirne l’evoluzione e la crescita”.
Per esempio, l’indifferibile necessità di un ripensamento del ruolo e delle funzioni degli ordini trova conferma nella circostanza che, nel recente passato e tutt’oggi, misure (da noi sempre caldeggiate) per una nuova e migliore organizzazione del lavoro fuori e dentro la giurisdizione, quali l’avvento delle società di capitali tra avvocati e la necessità delle aggregazioni multidisciplinari e dell’introduzione della figura dell’avvocato dipendente di altro avvocato, hanno incontrato e incontrano la forte resistenza degli ordini che, in nome dell’integrità della professione e del requisito dell’indipendenza dell’avvocato, in realtà lo privano di nuovi strumenti e opportunità.
Due anni fa, sulle pagine de Il Sole 24Ore, una serie di interventi qualificati sembrava potesse favorire una discussione capace di fare breccia nell’azione di governo della politica e del legislatore, ma all’epoca altre erano le priorità e quelle riflessioni caddero nel vuoto.
Ecco, quindi, il tema centrale dell’appuntamento straordinario che l’Associazione Nazionale Forense terrà a Roma a metà dicembre: quale il grado di intervento dello Stato nel regolamentare la professione, quale il limite delle funzioni degli ordini nell’attività di controllo, quale il rapporto tra crescita e libera concorrenza, quale il confine tra attività economica indipendente e sussidiarietà demandata dallo Stato per servizi di interesse pubblico, la riforma della legge ordinamentale forense del 2012, quale il contesto più generale del mondo delle professioni intellettuali. E poi: innovazione tecnologica, Europa, networking, progetto finanziato dalla Commissione UE su Carta Europea dei diritti fondamentali e diritti umani nell’attività di contrasto del terrorismo e dei fenomeni migratori.
Un’occasione di confronto con, tra gli altri, il Presidente dell’AGCM dott. Roberto Rustichelli, il Prof. Avv. Marcello Clarich, il Prof. Mario Pagliero, il presidente di Confprofessioni Dott. Gaetano Stella, il presidente del COA di Roma Antonino Galletti, il Prof. Claudio Rorato del Politecnico di Milano.
Il filo conduttore è quello di sempre: meno corporativi, più liberi, senza mai rinunciare alle regole.
Luigi Pansini