Il governo dei tecnici doveva muoversi nel perimetro stretto delle “riforme possibili” ma garantendo interventi di “qualità”. Così non è stato. Il governo delle larghe intese doveva ampliare quel perimetro e proseguire sulla strada avviata, integrando e correggendo. Così non è stato. Il governo Renzi, il più politico in assoluto, avrebbe dovuto avere la strada in discesa quanto a obiettivi e a misure per realizzarli con trasparenza e rapidità. Così non è stato.
Fin dal suo insediamento, è apparso defilato e confuso sulla giustizia, privo di una visione d’insieme e finanche della volontà di cambiare passo, salvo cavalcare (con indubbia destrezza mediatica) la cronaca che spietatamente gli ricordava emergenze croniche e priorità. Così ieri mattina – allo scadere dell’ultimo giorno dell’ultimo mese del cronoprogramma renziano, quello destinato alla riforma globale della giustizia – abbiamo appreso che il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia hanno avuto «un incontro molto importante per elaborare delle linee guida che non sono dei titoli ma argomenti importanti per rivoluzionare il sistema giustizia». E in serata Renzi ha snocciolato 12 punti – altrettanti titoli – assicurando che – salvo per le intercettazioni – i testi sono già tutti pronti ma il governo vuole aspettare due mesi per dare ai cittadini la possibilità di dire la loro. Insomma, parliamone. Parliamone ancora. Se la riforma annunciata subisce un altro rinvio è perché il governo vuole farne una «rivoluzione» all’insegna della «partecipazione».
In buona sostanza, dopo quattro mesi e a poche ore dall’atteso Consiglio dei ministri che – rinvio dopo rinvio – doveva finalmente dar corpo agli annunci con un pacchetto organico di misure – così organico da imporre alle Camere uno stop su corruzione, prescrizione, autoriciclaggio e falso in bilancio – il premier e il guardasigilli hanno «elaborato» le «linee guida» della «rivoluzione» di settembre sulla giustizia. I testi possono aspettare. Non c’è fretta, si dice, perché tanto il Parlamento è «ingolfato» da altre riforme. Non c’è fretta, si spiega, perché quel che conta è arrivare a progetti «concertati» e «ponderati». Non c’è fretta, si mormora, perché con Silvio Berlusconi alleato delle riforme istituzionali è opportuno aspettare tempi politicamente migliori. Ma è difficile sfuggire alla sensazione che la giustizia resti ancora un terreno troppo scivoloso per assumersi la responsabilità politica di scelte chiare e tempestive. Meglio continuare a «parlarne» e a far finta che quelle «linee guida» siano già la rivoluzione promessa (l’unica novità operativa è l’avvio da oggi del processo civile telematico, che però viene da lontano e non dal governo Renzi). E questo è un terreno su cui il premier ha gioco facile, visto che da mesi, ormai, non c’è giornale o tv che non parli dell’imminente «rivoluzione», «stretta», «svolta» del governo.
Certo, il metodo di lavoro è importante. E due mesi in più non spostano molto se il risultato finale è efficace (anche se è un po’ buffo immaginare che sotto il sole di luglio e di agosto fiorisca un dibattito sulla giustizia e che il governo riscriva i suoi testi). Ma tutto si può dire salvo che sulla giustizia si sia all’anno zero quanto a dibattiti e proposte, parlamentari, ministeriali, scientifiche. Tutto si può dire salvo che temi come falso in bilancio, autoriciclaggio, prescrizione, concussione, efficienza del processo civile e penale non siano stati sviscerati in ogni sede, nazionale e internazionale. Tutto si può affermare, salvo che la corruzione sia un accidente che ci ha spiazzato o solo una questione di «ladri» e non anche di «regole» che ai ladri hanno consentito di cavarsela quasi sempre e quindi di dilagare. Se il governo ambiva a giocare un ruolo da protagonista, avrebbe dovuto mettersi subito al lavoro, non farsi prendere in contropiede dalle inchieste su Expo e Mose e, semmai, giocare d’anticipo. Avrebbe così imposto il suo passo al Parlamento e non una frenata.
Sul civile e sul penale, sono rimasti nel cassetto testi già pronti e «concertati». Tutto da rifare, sembrerebbe. In compenso sono riemersi, come temi centrali, la responsabilità civile dei magistrati e le intercettazioni: proprio come ai tempi di Monti, quando sul tavolo doveva esserci solo l’anticorruzione. Un déjà vu di cui avremmo fatto volentieri a meno, visti i risultati.
Donatella Stasio