Intervento del presidente di ANF Pasquale Barile su Guida al Diritto –
È di pochi giorni fa la notizia del piano di liberalizzazioni preannunciato dal Governo Renzi. Tra queste, secondo il progetto di Ddl del 20 febbraio
2015, un’ipotesi di intervento riguarda i notai, ai quali si affiancherebbero gli avvocati per alcune limitate ipotesi: le transazioni immobiliari
inferiori ai 100mila euro e gli atti di costituzione di Srl semplificate.
Ovviamente si sono scatenate le ire dei notai, così come in passato analoghe proteste erano state sollevate dalla categoria di turno interessata dalle
“lenzuolate”.
Per buona parte non condivido tali proteste – e con ciò intendo riferirmi a tutti i settori professionali, compreso il mio, che mi sembrano
assolutamente anacronistiche, volte ad abbarbicarsi tenacemente a prerogative del passato che non hanno più alcun senso perché non riescono a
percepire – o fanno finta di non percepire – che il mondo procede oggi alla velocità della luce e che le professioni intellettuali di un tempo, o hanno la
capacità di adeguarsi e rendersi intelligentemente parti attive e governare la loro necessaria mutazione genetica, oppure sono destinate a
estinguersi così come è accaduto per i dinosauri.
Ma ritorniamo un attimo alla querelle notai/avvocati.
I primi paventano effetti catastrofici dalle preannunciate liberalizzazioni e i motivi di tale allarmismo possono ricondursi essenzialmente alla
ostentata figura di pubblico ufficiale del notaio rogante, che unico tra tutti assicurerebbe competenza, imparzialità, certezza dei trasferimenti,
tracciamento delle operazioni immobiliari anche ai fini antiriciclaggio, tenuta dei registri immobiliari e societari.
Non pochi sono poi coloro che, sempre tra i notai, assumono che, nella competizione con gli avvocati, non possono essere competitivi perché
sarebbero gravati di costi, rischi e responsabilità che gli avvocati non avrebbero, con grave nocumento per le loro famiglie e i posti di lavoro.
Permettetemi di esprimere il mio dissenso e di spiegarne qui le ragioni.
Partiamo innanzitutto da una banale considerazione: vi sono paesi di sicura civiltà giuridica, anche se di tradizioni differenti dalla nostra, come ad
esempio gli Stati Uniti e altri paesi di diritto anglosassone, nei quali la figura del notaio è relegata a un ruolo assolutamente marginale. E non si dica
che in quei paesi la certezza dei trasferimenti immobiliari non è tutelata!
Ma ritorniamo a noi.
Avvocati e Notai, per poter esercitare la professione, devono entrambi frequentare la stessa facoltà universitaria di Giurisprudenza e superare un
concorso pubblico, con la differenza che per i primi non c’è numero chiuso, per i secondi sì.
Per buona parte delle funzioni che esercitano, gli avvocati sono da sempre considerati dalla Giurisprudenza, di merito e della Corte di cassazione,
incaricati di pubblico servizio ovvero pubblici ufficiali e, ciò, perché è il tipo di attività svolta che determina l’assunzione delle qualità anzidette. In
altri termini: se un soggetto privato, quale indubbiamente è l’avvocato, è chiamato a compiere atti qualificabili come pubblici, siano essi atti
pubblici in senso stretto o certificati, esso assume la corrispondente funzione pubblicistica (si veda la sentenza della Cassazione, sezioni Unite
32009/2006). È quindi innegabile che, nel caso di trasferimenti immobiliari ovvero di costituzione di società, gli avvocati assumerebbero, in quelle
ipotesi, ipso iure la qualifica di pubblico ufficiale, con tutto ciò che ne consegue anche in ordine alle paventate e gravi responsabilità.
Del resto da sempre gli avvocati possono autenticare le sottoscrizioni dei loro assistiti sulle procure alle liti, anche in processi plurimilionari di
straordinaria importanza (si pensi ad esempio su tutti: il giudizio relativo al cosiddetto Lodo Mondadori); da tempo possono certificare la
conformità delle copie di atti che notificano in proprio e, da ultimo, anche la conformità degli atti digitali nel processo telematico.
Ma non solo: gli avvocati, al pari dei commercialisti e dei notai, possono essere delegati alle vendite giudiziali nell’ambito dei pignoramenti
immobiliari e, quindi, svolgere – come pubblici ufficiali – tutta l’articolata attività che porta alla vendita all’asta dell’immobile pignorato, così come
recentemente è stata riconosciuta agli avvocati la facoltà di stipulare, in determinate ipotesi, convenzioni matrimoniali per le cosiddette
separazioni brevi (Dl 132/2014, articolo 6), convenzioni che, ad accordo raggiunto, avranno addirittura gli stessi effetti di una
sentenza giudiziale.
È di solare evidenza, quindi, che ove gli avvocati dovessero essere incaricati degli atti di vendita immobiliare, peraltro per importi assolutamente
modesti (altra incongruenza di una apparente liberalizzazione), il distinguo «notaio pubblico ufficiale/avvocato soggetto privato» non ha senso.
Né hanno maggiore consistenza le ulteriori considerazioni svolte dal notariato in ordine ai «costi, responsabilità, sanzioni e rischi» che graverebbero solo sui notai.
Si dà il caso, infatti, che l’avvocato, come il notaio, svolge la sua professione in uno studio professionale, sopportandone i relativi costi (utenze,
personale dipendente, collaboratori, banche dati, corsi di aggiornamento e altro); l’avvocato è soggetto a obblighi di aggiornamento, diligenza e
competenza professionale, è soggetto alla normativa antiriciclaggio, pena gravi sanzioni non solo deontologiche; l’avvocato è obbligato per legge a
munirsi di una adeguata polizza professionale a tutela dei propri assistiti per le ipotesi di risarcimento da danni professionali.
E infine, non è ormai infrequente che sia proprio l’avvocato a essere costretto a patrocinare in giudizi di responsabilità nei confronti dei
notai (basta svolgere qualche breve ricerca in banche dati giuridiche per constatare il numero di casi, di certo non pochi di azioni di responsabilità,
ad esempio per le omesse visure, per tardive iscrizioni e/trascrizioni di atti).
Quindi anche i notai, così come i medici, i commercialisti, gli avvocati, e tanti altri professionisti ancora, possono sbagliare. Con ciò non intendo
criminalizzare qualsivoglia categoria professionale; ma, al contempo, non comprendo in cosa i notai si differenziano dagli avvocati. È la qualifica ex
lege di pubblico ufficiale che determina la oggettiva impossibilità di responsabilità professionali del notaio?
E poi, diciamolo pure senza false reticenze: sono secoli che gli avvocati predispongono per i loro clienti contratti preliminari o le bozze degli atti di
compravendita, gli atti costitutivi delle società, di cessione e di affitti di azienda, di trasferimento di quote sociali, di divisioni immobiliari, ma, per
rendere validi tali atti, sinora occorreva il sigillo notarile e, per buona parte dei summenzionati esempi, occorrerà ancora: il sigillo di una riserva di
esclusiva, che ha consentito e continuerà a consentire a pochi professionisti – valorosi al pari di tanti avvocati – una rendita di posizione ormai del
tutto anacronistica.
Certo, mi rendo conto che i notai (ma anche tutti gli altri ceti professionali) hanno subito negli ultimi anni una flessione dei loro redditi.
Non appartengo alla schiera di coloro che gioiscono per le altrui sfortune né a quelli che si stracciano le vesti, ma sono costretto a ricordare solo a
me stesso che, nonostante i cali di fatturato, il reddito medio pro capite dei notai, nell’anno 2013, è stato di “appena” euro 233.000,00, quello
degli avvocati di “ben” euro 49.600,00 (fonte Dipartimento delle Finanze).
E quindi, prima di piangere miseria o di gridare “Al Lupo, al lupo”, sarebbe forse necessario un maggior senso di pudore e di rispetto per altre
categorie professionali che da tempo sono in maggiore affanno rispetto ai notai e subiscono da anni, a vantaggio di altre categorie professionali,
anche non regolamentate, una continua erosione di competenze professionali, sebbene anche gli avvocati, come i notai, abbiano famiglie (gli
avvocati iscritti negli albi sono oltre 200.000) da mantenere e posti di lavoro da assicurare ai loro dipendenti.
CLICCA PER LEGGERE L’ARTICOLO IN PDF GUIDA AL DIRITTO