Nel tentativo di sbloccare un assedio indotto non solo dalla pur pesante crisi economica, l’avvocatura ha celebrato ieri la giornata inaugurale del Congresso nazionale forense a Venezia nella cornice d’eccezione della Fenice di Venezia. Cornice cui, dopo la relazione del presidente dell’Ordine veneziano Daniele Grasso, hanno fatto da contraltare i deprimenti dati illustrati dal presidente di Cassa forense Nunzio Luciano: dal 2008 il reddito medio annuo degli iscritti è precipitato da oltre 50mila a 45.465 euro del 2013. In percentuale una diminuzione del 12% e oltre. Luciano ha rivendicato, a fronte di questa situazione, una maggiore flessibilità della contribuzione per cui, mentre in passato i nuovi iscritti pagavano 1.390 euro, oggi ne versano solo 695 e il resto in 8 anni; come pure è diventata possibile la costituzione di una rendita integrativa con una contribuzione facoltativa dal’1 al 10 per cento. In netta crescita gli iscritti effettivi che, in 20 anni, sono passati da 52.645 a 178.758 cui vanno aggiunti 50mila nuovi iscritti sulla base del nuovo ordinamento forense. A crescere, specchio delle crescenti difficoltà, è anche la spesa per l’assistenza che nel periodo 1994-2014 è salita da 5 a 22 milioni (ma potrebbe lievitare sino a 60 con il nuovo regolamento).
Nella relazione del Cnf, scritta dal presidente Guido Alpa, ma letta, causa indisposizione, dal suo vice Ubaldo Perfetti, viene sottolienata la volontà dell’avvocatura a non chiudersi in un angolo, ma a collaborare per affrontare senza subalternità la crisi della giustizia civile. Disponibilità che, apprezza il Cnf, è stata raccolta dal ministero della Giustizia con il decreto legge Orlando, che ha aperto a nuove modalità di definizione extragiudiziale delle controversie con il maggiore spazio affidato agli arbitrati e la negoziazione assistita. Prende così forma, nella lettura del Cnf, un sistema di giustizia complementare affidata ai legali che però non deve fare ritenere assodata l’acquiescenza dell’avvocatura a logiche puramente economicistiche nell’affrontare temi che hanno pesantemente a che fare con i diritti dei cittadini. A confermare l’impossibilità di sovrapporre la figura del libero professionista a quella dell’imprenditore, la recente sentenza della Corte costituzionale del 6 ottobre in materia tributaria.
L’Oua fa quadrato sul decreto legge e si dichiara pronta a contrastare – e l’eco è anche alle recentisssime prese di posizione della magistratura – tentativi di annacquare i profili più innovativi delle misure varate da pochi giorni. Il banco di prova è allora già l’iter di conversione del decreto, dove andrebbero inseriti quegli incentivi già più volte promessi dal ministro Andrea Orlando. E Nicola Marino, presidente Oua, rilancia chiedendo che si vada a costituire un “tesoretto” con il quale superare le riserve del ministero dell’Economia, alimentato con un parte del assai più pingue contributo unificato di questi, con una quota del Fug e con i risparmi generati sul fronte dei mancati pagamenti da legge Pinto per effetto della contrazione dei tempi processuali.
Fuoco di fila poi delle associazioni, spesso in polemica, più o meno garbata con i vertici istituzionali dell’avvocatura. Renzo Menoni dell’Unione camere civili ha messo l’accento sulla crisi soprattutto economica della professione invitando a tenere dritte le antenne rispetto alle annunciate (dal governo) nuove “lenzuolate” di liberalizzazioni che investiranno, tra l’altro, i parametri, cancellandoli, le forme societarie di esercizio della professione, allargandole, i vincoli sui preventivi, rafforzandoli. Maurizio De Tilla, di Anai, ricorda che la negoziazione assistita deve essere alternativa alla mediazione senza rischi di sovrapposizioni, mentre a ritardare è la configurazione dei giudici laici. Infine, Esteri Perifano di Anf, lancia un sasso in piccionaia e spezza una lancia a favore della possibilità per gli avvocati di costituire società interprofessionali, anche per evitare ai legali di rimanere confinati a una dimensione artigianale non più competitiva.
Giovanni Negri