11.06.15 Il Fatto – La Giustizia scopre il dono della sintesi

Da magistrato a giornalista, ho dovuto imparare a ridimensionare lo spazio. Prima, potevo scrivere richieste di misure cautelari di decine di pagine; e appelli di centinaia. Dopo, ho dovuto fare i conti con le ” b a t t u te ” : 3000 per la rubrica, 4500 per i commenti, in casi eccezionali 5500; compresi gli spazi. Talvolta ho ” s fo ra to ” , 200, 250 battute, non di più. Dopo un po ‘ , ho scoperto che bastavano; e che i lettori, che non avrebbero mai letto decine di pagine, leggevano, criticavano, qualcuno apprezzava. A un certo punto ho pensato che, ai miei tempi di pm, qualche richiesta o appello erano stati respinti perché avevo scritto troppo. Siamo seri, chi legge 300 pagine; per non dire 1000? E poi, se le legge, bisogna che se le ricordi; che, alla fine, metta in relazione gli argomenti, continui a percepire quei nessi che, dopo centinaia di pagine, inevitabilmente diventano labili e confusi. Così, adesso che ho letto il decreto 25/5/2015 n. 40 del presidente del Consiglio di Stato, sono stato molto soddisfatto: perché è la prova che la mia evoluzione, diciamo così, è stata nel senso giusto; e perché c ‘ è la possibilità che la Giustizia italiana ne faccia una analoga. Dice dunque il decreto che i ricorsi e gli atti difensivi devono essere redatti in formato A4, utilizzando uno dei caratteri tipografici di ” tipo corrente ” e di dimensioni non inferiore a 12pt, con un ‘ interlinea di 1,5 e Codice del Processo amministrativo (d.lgs 104/2010), dovrebbero essere analogamente succinte; così come, per quel che riguarda la Giustizia ordinaria, si prevede negli artt. 118 disp. att. c.p.c. e 546 c.p.p. È un bicchiere mezzo pieno, insomma; ma sufficiente per stimolare la sete. Questi principi, applicati all ‘ intero mondo della Giustizia, la catapulterebbero almeno nell ‘ era presente; per quella futura ci andrebbe ancora qualcosa. PRIMA di tutto. Gli atti devono essere dattiloscritti. Sembra inutile dirlo, e forse nel processo amministrativo lo è. Ma nel processo civile e in quello penale non lo sarebbe: di atti scritti a mano ce n ‘ è ancora, soprattutto di sentenze. Illeggibili, non trasformabili in file (se non immagine), non trasmissibili né consultabili on line , non suscettibili di copia incolla, sono un incubo per i gradi successivi di giudizio. E poi. La sinteticità nell ‘ a rgo m e ntare significa una diminuzione dei tempi necessari per contro dedurre. È ovvio che questo non piace a chi è abituato ad affrontare fin nelle minime pieghe ogni questione. Ma il punto è: ce lo possiamo permettere? È meglio una decisione rapida, sinteticamente motivata; o un trattato giuridico che arriva a prescrizione maturata? Nel migliore dei mondi possibili la risposta è ovvia: ma, quando la durata media (media!) di un processo è di 8 anni la sinteticità negli atti e sentenze è una necessità, non un ‘ opzione.

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