La giovane avvocatura reagisce e fa valere i suoi diritti: fioccano i ricorsi di ANF contro il regolamento adottato dal Consiglio Nazionale Forense per l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori. Molti giovani colleghi, informati dalle sedi ANF di Bergamo, Bari, Napoli, Salerno, Vasto, Pescara, Monza, hanno impugnato, dinanzi al TAR Lazio o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e con il sostegno delle sedi ANF, il regolamento recante la disciplina per diventare cassazionisti.La stampa ha acceso i riflettori sulla questione, di seguito l’articolo odierno del Corriere del Mezzogiorno
“ITALIANI DISCRIMINATI”
«Gli italiani – attacca il segretario nazionale dell’Anf, che a Bari conta una sezione con segretario Nicola Bonasia – in questo modo sono sfavoriti: la disparità di trattamento è evidente visto che gli “avvocati stabiliti” possono iscriversi nella sezione speciale dei cassazionisti attraverso la dimostrazione del mero esercizio della professione, peraltro svincolato dalla dimostrazione di un numero minimo di giudizi patrocinati dinanzi alla sedi giudiziarie indicate».
I RICORSI
La cosa non è passata inosservata. Al punto che il sindacato di Bari e venti avvocati, difesi da Emilio Toma e Loredana Papa, hanno deciso di impugnare il regolamento che disciplina la procedura per diventare cassazionisti rivolgendosi al Tar del Lazio. «Si tratta di norme discriminatorie», insiste Pansini. Che si sofferma sull’accesso alla professione e sul tirocinio. «Stiamo cercando di far modificare la disciplina», dichiara il segretario nazionale dell’Anf riferendosi al ruolo delle scuole forensi, che dal prossimo anno saranno obbligatorie prima dell’esame. «Ma stiamo parlando – aggiunge – di un’abilitazione, non si tratta di un concorso come quello per notai e magistrati».
L’ABILITAZIONE
Per la verità le modalità di svolgimento delle prove sono al centro di un aspro dibattito che va avanti da diversi anni. Durante i quali è stato deciso di fissare regole più rigide e innalzare paletti in grado di garantire verdetti più selettivi. Il tutto al fine di puntellare verso l’alto il livello di preparazione e sfoltire allo stesso tempo i ranghi dell’esercito smisurato di candidati. Nella speranza dichiarata che la toga possa finire sulle spalle di quanti sognano effettivamente di svolgere la professione e si cimentano con una dura pratica legale scandita da sacrifici e lunghi anni senza vedere un centesimo. Pansini sottolinea che l’esame è «comunque un terno al lotto» e snocciola gli ostacoli sulla strada dell’abilitazione: «Numero programmato, numero minimo di ore, costi da sostenere, verifiche intermedie e finali», spiega ribadendo che i giovani sono costretti a fronteggiare le maggiori difficoltà. Di certo, la crisi non risparmia comunque gli avvocati più esperti. Spulciando l’elenco delle 419 cancellazioni si scopre che tra quanti hanno deciso di dire addio alla toga ci sono professionisti con decine di anni di lavoro sulle spalle: hanno chiuso studi legali che si tramandavano da generazioni, stretti tra l’aumento vertiginoso delle spese di giustizia e il crollo della liquidazione della parcelle, troppo spesso destinate a rimanere semplici pezzi di carta da utilizzare, magari, per la prossima causa: quella contro il proprio (ex) cliente.
Bepi Castellaneta