Dopo decenni di annunci, finalmente la nuova geografa giudiziaria. Il 13 settembre entra in vigore: taglio di 30 tribunali, 220 loro sezioni distaccate e 670 sedi di giudici di pace. Tutto bene? Non proprio. Il fatto è che la riforma non sembra pronta per partire, almeno com’era nelle aspettative. Quella che doveva essere la svolta per eliminare uffci inefficienti, piante organiche risalenti a due secoli fa, eccessivi costi di struttura e personale, si preannuncia come fonte di mille problemi. Traslochi caotici, cittadini che devono viaggiare per ore, fascicoli e udienze che ballano da una parte all’altra di una provincia o addirittura tra regioni. Dal 13 settembre la macchina della giustizia rischia di impantanarsi ancora di più. tagliare i costi Introdotta dal Pdl Francesco Nitto Palma (ex magistrato), ministro della Giustizia nell’ultimo governo Berlusconi, ereditata dalla collega Paola Severino (avvocato) del governo Monti, tradotta in pratica da Annamaria Cancellieri (ex prefetto) insediata a capo di via Arenula con l’esecutivo Letta, la riforma della geografa dei tribunali è stata gestita da Luigi Birritteri (magistrato), a capo del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, e ha innanzitutto avuto un obiettivo economico. La promessa, infatti, è stata quella di risparmiare: prima stima 80 milioni in tre anni, seconda 50 milioni, terza 30 milioni. E ciò grazie all’unione di uffci, al riposizionamento di giudici, al riordino organizzativo. Finché si sono attivate le lobby, soprattutto forensi. Di 165 tribunali, il taglio doveva essere di 56, ma poi le sedi da sacrifcare si sono ridotte a 37 e quindi a 30 (l’ultima a ottenere la salvezza è stata quella di Urbino). Sono foccati ricorsi ai Tar e alla Corte costituzionale (quasi tutti invano). Ora si è in attesa di un decreto per salvare sei sedi rimaste ancora nella blacklist ma considerate speciali per ragioni urgenti (criminalità organizzata, strutture nuove di zecca, rilevanza territoriale). Sono quelle di Chiavari, Pinerolo, Lucera, Bassano del Grappa, Tolmezzo e Rossano. Altri 43 decreti sono stati già emanati per consentire invece agli uffci ormai tagliati di ridurre i disagi riguardo a smaltimento arretrati e spazi disponibili (in alcuni casi per fatti oggettivi, in altri meno). Il più recente è del 5 settembre. Sul campo, gli schieramenti sono due: i magistrati favorevoli alla riorganizzazione (sia pure con dei distinguo sui criteri dei tagli), i dipendenti amministrativi e gli avvocati contrari. I primi, in gran parte, si dicono ottimisti, molti hanno avviato le procedure di trasferimento in nuove sedi, possono godere di benefci economici. Non è così per il personale amministrativo, i cui sindacati si sono lamentati e adesso si stanno muovendo per ottenere garanzie dal governo, affnché i trasferimenti degli addetti siano ponderati. Ma, soprattutto, chi esprime le più forti resistenze sono gli avvocati, obbligati tra l’altro a spostare i propri studi. Ordini e associazioni forensi si sono messi di traverso e hanno chiesto la proroga di un anno per il via alla legge. A loro parere, risparmi non ci saranno, mentre, al contrario, cresceranno i costi a carico di cittadini e imprese, fsicamente sempre più lontani dai tribunali: notifche per posta e non a mano, consumo carburante o biglietti ferroviari per raggiungere le aule, giornate perse di lavoro. A tutto ciò si aggiungeranno le spese a carico dello Stato. Per esempio, uno sfratto o un pignoramento comporterà la trasferta dell’uffciale giudiziario, l’utilizzo di maggiori risorse (mezzi, uomini) per tradurre un detenuto in un carcere più distante. Con l’eliminazione delle sedi distaccate, ovvero di prossimità rispetto alle esigenze della cittadinanza, sono stati calcolati aumenti di costi fno all’800%. Come sostiene Nicola Marino , presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura (Oua): «Abbiamo protestato, scioperato, chiesto incontri, ma inutilmente, e senza essere mai interpellati nel costruire un’analisi della situazione». A detta delle toghe, manca il conto preciso di quanti siano i magistrati che si spostano o si sposteranno da un tribunale all’altro, quanti sono gli uffci giudiziari che hanno posto per accogliere quelli sacrifcati, che fne faranno gli Ordini forensi locali. Anche se i legali in Parlamento hanno raccolto diffusi consensi (sono tanti gli avvocati onorevoli e senatori), con i sottosegretari alla Giustizia Cosimo Ferri (magistrato) e Giuseppe Berretta (avvocato) disponibili al dialogo, da via Arenula è arrivato sempre il «niet». Una fermezza che la categoria forense ritiene fglia della non piena conoscenza di come stanno davvero le cose sul territorio. Il quadro reale sarebbe un rosario di sedi accorpanti prive di spazi e mezzi adeguati, sedi da chiudere magari rimesse a nuovo di recente con investimenti lontani dall’essere ammortizzati, Comuni che dovrebbero collaborare con strutture concesse in afftto, ma di cui ancora si sa poco. In molti casi i traslochi necessari appaiono lontani dal trovare applicazione. Parte dei tribunali accorpati continuerà a trattare il pregresso, con quelli accorpanti chiamati a smaltire le sopravvenienze. Si prevedono tempi di confusione, almeno cinque anni di provvisorietà, con fascicoli in un uffcio, udienze fssate in un altro, rinvii di date, pasticci in ambito civile, inesorabili prescrizioni in quello penale. Il contrappeso del taglio dei costi non convince la platea dei legali. coNti iNgiusti? L’Associazione nazionale avvocati italiani (Anai) sostiene l’inesistenza di risparmi e, al contrario, calcola in 30 milioni all’anno l’aggravio di spesa. Secondo una ricerca realizzata dal Coordinamento nazionale degli Ordini forensi minori, per esempio, il Comune di Cuneo dovrà spendere 7 milioni per assorbire i tribunali di Saluzzo e Mondovì, il palazzo di giustizia di Foggia dovrà scucire 750 mila euro all’anno per incorporare quello di Lucera e sei sezioni distaccate, il tribunale di Potenza sarà chiamato a sborsare 4 milioni per ospitare i procedimenti trattati a Melf, mentre a Udine sarà necessario spendere 800 mila euro annui per inglobare il tribunale di Tolmezzo che, al momento, ne costa solo 200 mila. In più, vanno considerate le sedi nuove e ora da chiudere: l’alessandrina Acqui Terme (costata 5 milioni), la vicentina Bassano del Grappa e la ragusana Modica (12 milioni l’una) o la genovese Chiavari (14 milioni). Tutto questo, in un guazzabuglio di campanilismi che ha aperto dissidi in ogni parte d’Italia. Le ragioni dei timori da parte degli avvocati sono varie. A Napoli, per esempio, per decongestionare il tribunale cittadino si è deciso di creare ex novo una sede ad Aversa, che però è in provincia di Caserta. Il neo palazzo di giustizia, denominato comunque Napoli nord (1,1 milioni di abitanti), è chiamato ad assorbire anche il tribunale di Santa Maria Capua Vetere e le sezioni distaccate di Casoria, Marano, Frattamaggiore e Afragola. Al momento, non c’è nulla. Nella struttura, un castello condiviso con scuola di formazione e abitazioni della polizia penitenziaria, mancano arredi, pavimentazione, impianti elettrici, percorsi per i detenuti, spazi per gli uffciali giudiziari. Non può arrivare personale amministrativo dalle sezioni distaccate, dove non si sa che fne faranno oltre 40 mila procedimenti in attesa di verdetto. A regime, è auspicata la presenza di 60 magistrati, circa 140 dipendenti e un movimento di oltre 2.500 avvocati. Ma a settembre è stato fatto un sopralluogo uffciale ed è stato chiaro che l’inaugurazione è un miraggio.Come Napoli, anche Torino (bacino di 1,6 milioni di abitanti) dovrebbe essere decongestionata, in favore di sedi provinciali. Solo che quella di Pinerolo (216 mila abitanti) rientra tra le prescelte per la soppressione, creando un altro punto contraddittorio. A fronte di uffici moderni e un’ala nuova di zecca costata 800 mila euro, Pinerolo è destinata a essere assorbita nel tribunale metropolitano, che ha nel frattempo trasferito parte degli uffci a Ivrea. Pinerolo, dove operano 14 magistrati e sono iscritti oltre 200 avvocati, ha ottenuto deroghe sulla gestione dei procedimenti, ma non sul trasloco, anche se su tempi e modalità è buio ftto. Solo i magistrati hanno le idee chiare: tutti hanno chiesto il trasferimento. Non si è spostato nemmeno un fermacarte anche a Sala Consilina (Salerno), destinato a traslocare a Lagonegro (Potenza). Il trasferimento da una regione all’altra, oltre a far prevedere rinvii di sette-otto mesi per le udienze e creare problemi di viaggio (non esiste ferrovia di collegamento), provocherà complicanze burocratiche su tante questioni giudiziarie: prefettura a Salerno, processo a Lagonegro, Tar in Campania, procedimento ordinario in Basilicata. Ma, soprattutto, il paradosso è che a Sala Consilina (bacino di 90 mila abitanti, 13 magistrati e 350 avvocati) funziona il processo telematico, che a Lagonegro non esiste.
Franco Stefanoni