Ma andiamo con ordine e iniziamo dall’equo compenso: è stato il ministro della Giustizia Andrea Orlando a chiederne l’introduzione per proteggere i più giovani dalla corsa al massimo ribasso imposta alle parcelle degli avvocati soprattutto da banche e assicurazioni. Poi però era arrivato l’intervento del presidente del Senato Pietro Grasso che aveva chiesto di stralciare questo intervento dal decreto legge sulla fiscalità. Adesso pare che l’equo compenso possa rientrare in ballo per frutto di un accordo tra varie forze politiche.
«Se la norma sull’equo compenso fosse effettivamente inserita nel decreto legge fiscale – afferma Luigi Pansini, segretario generale dell’Associazione nazionale forense – non cambierebbe la sostanza della questione, perché l’avvocatura in realtà si è resa conto del bluff dell’equo compenso e non comprende perché una norma di legge che lo prevede e che al tempo stesso lo rende derogabile possa rappresentare una conquista. Può essere impopolare parlare contro l’equo compenso, ma l’avvocatura merita rispetto e soprattutto verità sui provvedimenti che la riguardano direttamente. Nessuno dice cosa si intende per equo, se esso sia quantificabile e perché riguarda solo determinati soggetti e un numero limitato di avvocati. Al momento sembra solo uno spot da propaganda elettorale, che peraltro divide l’avvocatura e il mondo delle professioni».
La protesta
A protestare contro la possibile introduzione dell’equo compenso per gli avvocati sono anche le associazioni ad alta presenza di giovani, come quella di «Mobilitazione generale avvocati» che attacca frontalmente il ritorno delle tariffe: «Questo provvedimento, nonostante fosse stato salutato dal ministro Orlando come una previsione a favore degli avvocati più giovani, e nonostante fosse stata trionfalmente approvata dai vertici della classe forense Cnf e Ocf, in realtà era già da solo la prova di una comune volontà di garantire compensi adeguati solo ai grandi studi strutturati e ricchi, unici ad essere depositari, per le dinamiche a noi tutti note, della maggior parte degli incarichi fiduciari e seriali di banche e assicurazioni».
Altro tema di contrasto è il ritiro (annunciato dal ministro Orlando) dell’obbligatorietà, per ogni avvocato, di stipulare un’assicurazione personale a copertura degli infortuni derivanti dalla propria attività professionale. «L’intervento del ministro – continua il segretario generale dell’Anf Pansini – è sicuramente apprezzabile a fronte di una disposizione di legge assurda e incomprensibile. Tuttavia appare beffardo che politica e istituzioni si accorgano dell’obbligatorietà della polizza per gli infortuni a distanza di quasi cinque anni dall’approvazione della legge ordinamentale forense e di un anno dall’adozione del regolamento attuativo. Strano anche che a segnalarlo non sia il Cnf. Di sicuro questo improvviso risveglio suona beffardo soprattutto per tutti coloro, si stima la metà del corpo dell’avvocatura, che hanno rispettato le regole e si sono già giustamente assicurati».
Isidoro Trovato