Sul socio di capitale l’avvocatura tira il freno. E, pur non salendo sulle barricate, ne chiede lo stralcio dal disegno di legge sulla concorrenza. Al termine degli Stati generali convocati dall’ Oua, ai quali hanno partecipato il Cnf, con il neopresidente Andrea Mascherin, la Cassa Forense, con il presidente Nunzio Luciano e alcune delle principali associazioni forensi arriva una richiesta carica alla politica: accantonare le misure che aprono all’ingresso del socio di capitale negli studi legali. Una previsione che non convince per nulla l’avvocatura, almeno nella sua attuale formulazione. Nel testo messo a punto dall’Oua si sottolinea innanzitutto il ruolo, esclusivo, riconosciuto all’avvocato dal nuovo ordinamento forense sia sul versante della “classica” assistenza legale sia sul piano della consulenza stragiudiziale. Un affidamento che è conseguenza del riconoscimento che del ruolo costituzionale e della centralità della professione forense nel sistema di amministrazione della giustizia e per la tutela dei diritti dei cittadini. Un ruolo che ha senso solo se all’avvocatura resta attribuito uno spazio adeguato di autonomia e indipendenza. L’ingresso dei soci di capitale verrebbe a comprimere, a giudizio del documento, proprio questi elementi essenziali per l’esercizio dell’attività legale. A voler tacere poi del fatto che il testo del disegno di legge concorrenza va a minare in maniera grave le garanzie di rispetto dei principi di equa previdenza, solidarietà generazionale e imparziale fiscalità. Di qui la richiesta dello stralcio che Mirella Casiello, presidente Oua sostiene così: «Questa norma è un pasticcio non solo perché contraddice i principi che ispirano la professione forense, ma anche perché, così come è stata formulata, non prevede limitazioni alla presenza dei soci di capitale alla società di avvocati e soprattutto non affronta i problemi legati alla fiscalità e alla previdenza di queste società ibride». Uno spiraglio però resta aperto e trova spazio anche nella parole di Casiello dove mette in evidenza come sulle forme di esercizio della professione, anche secondo formule innovative rispetto all’esistente, ci siano margini di confronto. Che non potranno però vedere protagonista il ministero dello Sviluppo economico: «la discussione – avverte Casiello – va riportata all’interno del ministero della Giustizia». I lavori degli Stati generali, hanno poi affrontato, sulla scia dei fatti di Milano, i problemi legati alla sicurezza degli uffici giudiziari. La richiesta al ministero della Giustizia è quella di predisporre un piano di investimenti utilizzandoi fondi che, comunque, il comparto giustizia continua a generare, non fosse altro che per l’aumento costante del contributo unificato. Il piano però dovrà essere organico e concordato anche con l’avvocatura: il rischio, in caso contrario, è che possano ripetersi situazioni come quella di Napoli dove a essere stata danneggiata è stata non solo la dignità degli avvocati, ma anche quella dei cittadini.
Giovanni Negri