18.01.18 Il Tempo – Il giudice applica la legge? Linciato

Non tutto è perduto e qualche speranza l’abbiamo ancora. Lo si intuisce da un paio di notizie trapelate dalle Aule giudiziarie. La prima arriva dal Tribunale di Vicenza, dove il gip ha archiviato la posizione di un uomo di 38 anni, dirigente di una ditta commerciale, denunciato da una dipendente per tre pacche sul sedere al fine di invitarla a svolgere il proprio lavoro con più rapidità. Molestia, diceva la querelante. Goliardata, ha deciso il gip, dopo che anche il pm aveva chiesto di archiviare e le testimonianze dei colleghi d’ufficio avevano chiarito meglio il quadro, arrivando ad escludere una volontà morbosa, per quanto il gesto del dirigente sia stato definito «generalmente censurabile». A nulla erano valse le scuse dell’uomo alla signora: in tempi di Weinstein e di femminismo debordante, lei era andata avanti con la denuncia per molestie, affermando di sentirsi violentata come donna e come lavoratrice. Tuttavia, il giudice ha riportato le cose alla giusta dimensione e un gesto quantomeno inopportuno, se non altro evita di essere un gesto criminale. L’altra storia arriva invece dal Tar di Bologna. In aula, siede una giovane praticante avvocato di origine marocchina che indossava l’hijab, Asmae Belfakir è il suo nome, e lavora nell’Ufficio legale dell’Università di Modena e Bologna. Il giudice le chiede di toglierlo se avesse voluto rimanere in Aula. La ragazza si rifiuta, protesta e poi si allontana dall’Aula, innescando quel che diventato il caso del giorno. Già, perché tra associazioni, partiti della sinistra e comunità islamiche, è stato tutto un rincorrersi al sostegno verso la giovane, che intanto parlando all’Agi ha annunciato il suo futuro da eroina (col velo chiaramente), nell’intenzione di «portare avanti una campagna culturale per fare in modo che le ragazze come me non debbano scontrarsi con questi muri ogni giorno». Di sicuro, sarà ben sostenuta. Perché l’Esercito dello Zelo si è messo subito in moto. A partire dal coordinatore delle Comunità islamiche di Bologna, che invoca chiarimenti da parte delle «autorità competenti». E poi Khalid Chaouki, deputato Pd e presidente del Centro islamico culturale d’Italia: «Si tratta di un atto grave che viola la libertà religiosa», tuona. Nel Pd, la deputata Fabrizia Giuliani assicura: «Noi siamo con lei», mentre da Liberi e Uguali Andrea Maestri bolla l’accaduto come un «gravissimo e inammissibile abuso». Protestano anche il Consiglio Nazionale Forense, l’Associazione Nazionale forense e l’Associazione Italiana Giovani Avvocati. Il presidente del Consiglio di Stato ha già avviato la richiesta di chiarimenti. In tutto il bailamme, si solleva la voce contraria di Matteo Salvini che in un post Facebook assicura: «Io sto con questo giudice». Però l’onda monta ed è trascinante. Sul punto, la legge è chiara: l’articolo 129 del Codice di procedura civile afferma che «chi interviene o assiste all’udienza non può portare armi o bastoni e deve stare a capo scoperto». Esiste in realtà un parere del Csm, risalente al 2012, che sancisce la garanzia del rispetto di condotte riguardanti l’osservanza del culto in un’Aula giudiziaria, anche per quanto riguarda gli aspetti relativi all’abbigliamento. Tuttavia, l’organo di autogoverno dei giudici Tar è il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, altra cosa rispetto al Csm. Ma tanto, a sera, arriva una notizia: il Presidente del Tar di Bologna ha assicurato all’avvocato con cui lavora Belfakir che potrà tornare in Aula con velo. Fine. Come sempre. Nonostante qualche gesto eroico.

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