Intervento di Luigi Berlinguer –
«Justice delayed is justice denied», diceva Gladstone. La giustizia lenta è un ostacolo allo sviluppo economico e sociale del Paese. Finora siamo stati incomprensibilmente rassegnati ai tempi lunghi dei processi. Purtroppo, nel recente passato, tutta l’attenzione è stata assorbita dalle vicende penali di una ben identificata personalità politica. Bisogna cambiare. Finalmente oggi il Governo Renzi col ministro Orlando ha imboccato un’altra strada: tempi più rapidi in alcuni riti, con l’uso adeguato delle tecnologie. Non più prevalenza del solo processo penale: ci si comincia a dedicare alla giustizia civile, anche nella speranza che ciò sia ben soppesato dagli investitori stranieri nelle loro scelte. Orlando ha presentato dati incontrovertibili sulla nuova capacità di aggredire l’eccessiva durata dei processi, grazie a nuovi meccanismi giuridici e all’informatizzazione.
Concentriamo l’attenzione su due aspetti.
Il primo è che il recente decreto legge convertito dal Parlamento sulla “degiurisdizionalizzazione” e l’intervento per eliminare l’arretrato nei processi civili cerca di evitare che tutti i conflitti si risolvano solo davanti al giudice: si propone di facilitare il trasferimento in sede arbitrale di numerose controversie pendenti, di semplificare separazione personale, divorzio e altro.
Il secondo aspetto è la nuova determinazione nell’introdurre informatica e telematica nel processo civile. Il processo civile telematico, reso obbligatorio per alcuni riti dal 30 giugno, dopo sole quattro settimane ha drasticamente ridotto i tempi di emissione dei decreti ingiuntivi (da 15 a 6 giorni). Magistrati e avvocati, pur provenendo da una cultura tradizionale, aderiscono con convinzione alla prescrizione di inviare plichi elettronici e produrre atti e provvedimenti in formato nativo digitale, anche dove non obbligatorio. Lo dimostrano i dati sui depositi di atti che ancora sarebbe possibile formare in carta: a ottobre, avvocati ed altri professionisti hanno depositato 191.256 atti (+46 % su settembre e tre volte tanto rispetto agli oltre 64.000 di giugno), i magistrati: 218.277 atti (+ 60% su settembre e ben più dei 116.000 di giugno).
Quanto ai giudici civili, fra i 218.277 provvedimenti nativi digitali da loro depositati elettronicamente, i decreti ingiuntivi – unico obbligo di provvedimento “elettronico” – sono stati “solo” 34.283. Appare sorprendente come, da una situazione fino a qualche mese fa a macchia di leopardo, oggi in tutte le sedi giudiziarie si faccia uso degli strumenti telematici. Non si è certo ancora eliminata la carta: ci vorrà tempo. Né siamo ancora a taluni automatismi all’inglese (come il Money claim online). Ma la riforma cammina. E porta l’utilizzo pieno ed equilibrato delle tecnologie per limitare la movimentazione di fascicoli, l’immediata conoscibilità dei provvedimenti del giudice e gli scambi di memorie tra le parti private, con la garanzia di rapido riuso di dati e documenti giudiziari per chi ha diritto di conoscerli.
Sorprende positivamente che magistrati e avvocati si siano rivelati più disponibili di quanto si potesse sperare. Certo, non tutti, ma si consideri che il percorso è cominciato da poco tempo. L’innovazione sembra esser vissuta come assolutamente necessaria, ma anche possibile. Non mancano resistenze, che, oltre a celare interessi retrivi, sono il sintomo di pigrizia mentale.
L’Italia, ai tavoli del Consiglio dell’Unione sulla European e-Justice, sta però offrendo contributi importanti per i processi transfrontalieri, civili e penali. Rilevante l’iniziativa tenuta presso la Cassazione il 13 e 14 ottobre, in cui la Corte e il ministero della Giustizia hanno potuto presentare i propri progetti, discuterli con il Consiglio e la CommissioneUe, gli altri Stati membri. Ho potuto personalmente constatare questo fenomeno. L’impegno c’è, sta creando un abbrivio e sarebbe grave disperdere o sciupare le attuali condizioni di mobilitazione.
È bene che non venga interrotto il lavoro ministeriale di informatizzazione in dialogo con gli altri Stati membri e con le istituzioni europee, anche nel quadro del Programma di Stoccolma (spazio europeo di libertà, giustizia e sicurezza).
È ovvio che tutto ciò non basterà da solo a ridurre i tempi del processo: occorreranno anche misure di snellimento delle procedure e molto altro. Quel che è essenziale, tuttavia, è essere entrati nell’ottica dell’innovazione e del cambiamento, fuori dalla rassegnazione del passato. Bisogna incoraggiare la volontà di proseguire nel percorso intrapreso di innovazione tecnologica ed organizzativa della giustizia, visti i vantaggi fin qui conseguiti.