Gli spunti di discussione non mancano mai tra gli avvocati. A maggior ragione se si subentra alla guida di una delle associazioni che rappresenta da sempre una «voce fuori dal coro».
È il caso di Luigi Pansini, segretario generale dell’Associazione nazionale forense. «Partiamo dalla base – afferma il nuovo leader -. Bisogna ripensare il processo e i sistemi alternativi: serve una vera riforma che porti alla semplificazione dei riti e dei rimedi alternativi, favorendone la cultura e rafforzandone nel tempo la validità e l’efficacia. La decretazione di urgenza continua mina le fondamenta di un sistema che non riesce a consolidarsi. É un continuo sforzo per reperire risorse umane e finanziarie».
Su questo però la categoria ha assunto posizioni diverse su temi come mediazione, arbitrato e vie alternative alla velocizzazione della giustizia. «L’immagine all’esterno è opaca perché al nostro interno non ci sentiamo categoria e non vi è autorevolezza nei vertici istituzionali Le liberalizzazioni sono un’opportunità per nuove fette di mercato. Non bisogna aver paura. Non a caso i notai le temono e le combattono. Inoltre, a dispetto di quanto si possa dire, il singolo avvocato è pronto e forse si sente già liberalizzato».
Il posizionamento
Un riferimento evidente anche al disegno di legge sulla concorrenza. «Che sia un successo dei notai che hanno mantenuto certe esclusive è innegabile. E forse si tratta dell’ennesima occasione persa dagli avvocati per mostrarsi uniti davanti a un’opportunità. Serve un nuovo modo di porsi e di dialogare con le istituzioni e con i cittadini, c’è bisogno di comunicazione e pubblicità immediata, mirata a occupare o almeno a presidiare spazi di mercato che sfuggono».
Un cambiamento che potrebbe portare anche a una rivoluzione. Da tempo l’Organismo unitario dell’avvocatura propone l’introduzione di un cambiamento che potrebbe abbattere un dogma: la libera professione degli avvocati. «In effetti – ammette Pansini – noi saremmo favorevoli a modificare il divieto dell’avvocato di stipulare contratti come dipendente negli studi legali. Si è fatta fin troppa demagogia su questo tema: in Italia gli avvocati sono tanti e la crisi li ha esposti a licenziamenti e uscite del mercato del lavoro senza particolari tutele. Credo che una forma contrattuale che permetta agli avvocati di essere dipendenti potrebbe favorire le aggregazioni per avere economie di scala. Serve una scossa forte per evitare che siano le nuove generazioni a pagare il conto salatissimo dei problemi della categoria».
L’esame di Stato
Proprio lo strappo generazionale è al centro di molti temi che monopolizzano l’attenzione della categoria: dalla cassa di previdenza alla riforma forense fino all’accesso alla professione. «Quest’ultimo è un passaggio cardine – ricorda il presidente dell’Anf -. L’esame di Stato è stato reso ancora di più “un terno al lotto” poiché è stata eliminata la possibilità di utilizzare i codici commentati (come se ognuno di noi non ne consultasse nel proprio studio) e introdotte modalità di votazione molto più severe. Senza che tutto questo riesca a tradursi in una garanzia effettiva di maggior qualità. Le prove tradizionali non sono più al passo coi tempi. Oggi, in qualunque consesso, con “l’elevato numero degli avvocati” si vuole giustificare la crisi della categoria e la soluzione che si propone è quella di impedirne di fatto l’accesso, scaricando sulle giovani generazioni le difficoltà di pervenire a soluzioni ponderate ed equilibrate che contemporaneamente realizzino le finalità di promuovere e favorire l’accesso e l’ingresso alla professione e di valorizzare il merito».
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