Il tempo presente è un’occasione per ripensare, sia nel senso tecnico, sia nel senso giuridico, molti dei servizi essenziali del nostro Paese. La prossimità del servizio, rispetto al bisogno del cittadino, in molti casi costituisce l’elemento essenziale per il buon funzionamento dello stesso. Il recente “trend” normativo del settore Giustizia ha evidenziato un’inversione di tendenza del legislatore che tenta di rendere il “servizio pubblico Giustizia” in forma bifasica. Ci troviamo, infatti, con un sistema che, da un lato, annovera delle forme di risoluzione alternativa su base “laica” (negoziazione assistita, arbitrato, mediazione civile e commerciale etc.) e gestite fuori dal “circuito” della giurisdizione da professionisti, associazioni ecc., salvo interventi ex post di controllo e/o rivisitazione delle soluzioni private e, dall’altro, i tradizionali rimedi giurisdizionali seppur riformati per essere resi (si spera) più celeri, benché concepiti come extrema ratio alla soluzione della “patologia” dei rapporti giuridici. Da più parti, in questo periodo emergenziale, si è parlato del silenzio della Giustizia. A questa affermazione, nell’ottica di un rilancio della coesione sociale e del rilancio dell’economia del Paese si potrebbe rispondere con la “voce” della libertà economica dell’art. 41 della Cost. fulcro e fondamento di quella parte del Codice Civile dedicata ai contratti ed alle obbligazioni, ma più in generale all’autonomia privata. Se il sistema Giustizia è fermo, se da oltre venti anni sta sfumando la differenza essenziale, sociale e civica, tra rispetto della legge e rispetto delle istituzioni giudicanti, vale la pena di ricordare che la fase patologica dei rapporti giuridici, in particolare quelli di natura economica, non sempre devono necessariamente trovare la loro soluzione nella giurisdizione che, in ogni caso, rimane centrale nel sistema Paese, ma anche soprattutto nell’esercizio della professione forense. Questa visione oggi, pur non essendo anacronistica, non è completamente utile a superare il “fragoroso silenzio” sulla Giustizia denunciato da autorevoli giuristi e, quindi, sarebbe opportuno valorizzare quel percorso affidato agli strumenti di risoluzione delle controversie dove le persone (rectius: i contraenti) tornano al centro della “cura” e gestione dei loro interessi e bisogni, pur se assistiti da altri, in particolare da Avvocati, che possano con la loro professionalità e competenza, facilitare una soluzione che rispecchi le loro rinnovate esigenze. L’utilizzazione di questi strumenti non è “assenza di Giustizia” nei rapporti giuridici, nei quali una delle parti ritenga che sia stato leso un proprio diritto. É, al contrario, riaffermazione del medesimo diritto leso, attraverso l’esercizio dello stesso in una fase nella quale non sempre un Giudice, nell’interpretare la legge, possa rispecchiare le esigenze e i bisogni che la parte intendeva perseguire nel tentativo giurisdizionale di ristabilire “l’ordine” violato. In definitiva, si ritiene che la mediazione e le ADR in generale, soprattutto in un frangente storico ed economico come quello che stiamo vivendo, debbano essere visti come alternativa, piuttosto che quale sola premessa della giurisdizione, così da potersi configurare come peculiare strumento di attuazione del principio di sussidiarietà in senso orizzontale, che giustifica l’esercizio dei pubblici poteri nei soli casi in cui i privati non siano in grado di regolare i loro interessi con i mezzi propri dell’autonomia negoziale.
Giampaolo Di Marco