24.01.20 Il Sole 24 Ore – L’Anf sul mercato dei servizi legali: non focalizzarsi solo sull’equo compenso

di Luigi Pansini*

Il termine “concorrenza” ed espressioni come “mercato nell’ambito dei servizi legali” rappresentano un tabù che gli avvocati non riescono a sfatare.

Un po’ le liberalizzazioni di Bersani nel 2006, un po’ la crisi che ha colpito il comparto professioni, un po’ la crisi della giurisdizione, un po’ la rivincita con la battaglia dell’equo compenso: queste i principali fattori che spingono a rifuggire qualsiasi approccio e discussione sul delicato tema tra concorrenza e professione legale (e, più in generale, le professioni intellettuali).

Ma è veramente così?
Del controverso rapporto tra concorrenza e professione probabilmente ricordiamo solamente le due sanzioni (la prima confermata dal Consiglio di Stato ma ridotta nel quantum, la seconda annullata dal tal Lazio) inflitte dall’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato al Consiglio Nazionale Forense per aver posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza (caso Amica Card) in violazione dell’art. 101 del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

In questo preciso momento storico, forse non è passato inosservato il silenzio dell’AGCM sull’introduzione delle norme che sanciscono, per tutte le professioni, il diritto all’equo compenso.

La realtà delle cose è, tuttavia, ben diversa.
Partiamo, innanzitutto dalle specializzazioni, dal parere del Consiglio di Stato del 2.5.2019 sulla nuova bozza di regolamento al riguardo e dall’analisi dell’impatto della regolamentazione (AIR), curata dal Consiglio Nazionale Forense e dal Ministero della Giustizia su richiesta dei giudici di Palazzo Spada.

Il Consiglio di Stato, a due anni dall’annullamento in parte qua (elenco delle materie e colloquio per il conseguimento del titolo di avvocato specialista) del DM 12.8.2015, n. 144, con il parere n. 1347 del 2 maggio scorso, nel formulare le sue osservazioni sulla nuova bozza di regolamento recante, in attuazione dell’art. 9 della legge professionale n. 247/12, la disciplina delle specializzazioni forensi, ha invitato il Consiglio Nazionale Forense e il Ministero della Giustizia ad avviare una preliminare indagine sull’impatto regolatorio in materia.
La lettura del parere è decisamente interessante.
L’espressione “servizi legali” è utilizzata ben nove volte; i termini “mercato”, “offerta” e “domanda”, rispettivamente, cinque, sette e quattro.

Anche sull’idea di “specializzazione”, sulle finalità e sull’approccio alla materia, il giudice amministrativo è chiaro: “l’obiettivo perseguito dalla disciplina in oggetto è quello di definire aree di specializzazione nell’offerta dei servizi legali nella sua più recente evoluzione. La definizione della specializzazione è dunque funzionale ad una migliore qualità del servizio legale offerto alla clientela consentendo di segmentare il mercato e di ridurre i costi di ricerca per i clienti. Certamente questo obiettivo deve prevalere su quello della coerenza con le ripartizioni dogmatiche recepite negli ordinamenti universitari che seguono logiche ed obiettivi diversi”. E ancora: “…le aree di specializzazione definite dal decreto non dovrebbero solo riflettere l’assetto attuale ma, per quanto possibile, anticiparne l’evoluzione facendo in modo che vi sia un’offerta adeguata quando la domanda di servizi legali evolverà con il maturare di nuove esigenze”.

La leggerezza e la naturalezza dei riferimenti al “mercato” e alla “domanda” e “offerta” di “servizi legali” sono disarmanti, mettendo subito a tacere i residui e tardivi tentativi di una discussione sul tema che, peraltro, non c’è stata.

Poi, l’analisi dell’impatto della regolamentazione (AIR), completata, superando anche il vaglio del Consiglio di Stato che, con il parere n. 3185 del 19.12.2019, ha di fatto dato il via libera per il nuovo regolamento sulle specializzazioni forensi, è stata tutta incentrata sul rapporto tra domanda e offerta dei servizi legali.

L’indagine ha evidenziato che sono cinque i fattori che hanno un impatto sul bisogno di specializzazione dei servizi legali: eccesso di normazione, complessità della normazione, differenziazione tra centri urbani e territori periferici, differenziazione tra grandi imprese e PMI, assenza di un meccanismo che assicuri l’incontro tra domanda e offerta.
Inoltre, interessanti sono anche le aspettative indicate dai soggetti consultati: necessità di adattamento in senso di maggiore specializzazione creata dal bisogno, dalle innovazioni normative e dalla tecnologia; presenza di conoscenza sempre più tecnica e specializzata, aumento del contenzioso in materia di riparto Stato / Regioni; associazioni fra professionisti per ampliare l’offerta di servizi specialistici in più settori, piattaforme specialistiche

E allora, proviamo a cambiare prospettiva.
Intravedere nei due pareri del Consiglio di Stato e nell’AIR e, andando a ritroso nel tempo, nel Job’s Act per i lavoratori autonomi (L. 81/2017), nell’unica legge per la concorrenza e il mercato (L. n. 124/17), nella “riforma Monti delle professioni” del 2011-2012, nel “decreto Bersani” del 2006 e nelle indagini conoscitive dell’AGCM sulle professioni del 1997 e del 2009, una sottile linea rossa che disegna, con tutti i suoi limiti, un probabile futuro prossimo, significa guardare in faccia la realtà e prendere definitivamente atto che anche la nostra è una professione, come altre, in continua evoluzione.

Insomma, i pareri del Consiglio di Stato e l’indagine conoscitiva condotta sono la sveglia che suona, l’ennesimo invito all’Avvocatura a guardare fuori, avanti e in prospettiva, ad abbandonare la pretesa di dettare modelli organizzativi e formativi “classici”, corporativi ed uguali per tutti coloro che svolgono la professione.

Certo, molti storcono ancora il naso dinanzi all’idea di un “servizio legale”, altri maledicono il “decreto Bersani” quale causa di tutti i mali dell’avvocatura, altri ancora pensano che la legge ordinamentale forense del 2012 abbia neutralizzato la spinta liberalizzatrice delle professioni contenuta nella “riforma Monti” del 2011-2012, ma la realtà è che il rapporto fra “domanda” e “offerta” di “servizi legali” è tema più che mai di attualità che riflette esigenze indifferibili per gli avvocati e, in genere, per tutti i professionisti, e contesti nei quali questi sono chiamati ad operare sempre con maggior frequenza.

Evidentemente, è assai difficile negare che la professione di avvocato, oltre alla componente intellettuale, ha (sempre avuto) anche natura economica.

Però, è altrettanto difficile dire se l’indagine svolta sul rapporto tra “domanda” e “offerta” di “servizi legali” possa, da un lato, rilanciare un dibattito laico sulla professione che si discosti dall’idea che solo l’Avvocato in Costituzione e l’equo compenso possano favorirne crescita e sviluppo e, dall’altro, indurre a reinterpretare lo spirito e le finalità (soprattutto) del “decreto Bersani” e della “riforma Monti” in termini di sfide e opportunità per il futuro ancora tutte da cogliere.
Questo significherebbe ammettere che la nostra professione, al pari di tutte quelle intellettuali, poiché ha natura economica, non può dirsi estranea alla logica della concorrenza; che “il merito – che ha tra i principali ingredienti la competizione – non sempre è riconosciuto” in una professione che sembra costantemente perdere appeal e che, peraltro, è fortemente caratterizzata dal fenomeno del “career following” (“propensione dei figli di liberi professionisti a seguire le tracce genitoriali”; il rapporto della Banca d’Italia sulla mobilità intergenerazionale nelle professioni è del 2018); che l’attuale assetto corporativo di controllo sulla formazione e l’aggiornamento non ha dato i risultati sperati; che non c’è prova che il minor prezzo praticato equivale a minore qualità della prestazione; che va completamente rivisto il sistema di auto-regolamentazione, “con una netta separazione nelle funzioni degli ordini tra quelle esercitate in nome e per conto dello Stato a tutela dell’integrità della professione e quelle che dovrebbero perseguire l’obiettivo di favorirne l’evoluzione e la crescita”; che comunque il “mercato” è un sistema con norme precise che ne disciplinano il funzionamento.

Per esempio, l’indifferibile necessità di un ripensamento del ruolo e delle funzioni degli ordini trova conferma nella circostanza che, nel recente passato e tutt’oggi, misure (da noi sempre caldeggiate) per una nuova e migliore organizzazione del lavoro fuori e dentro la giurisdizione, quali l’avvento delle società di capitali tra avvocati e la necessità delle aggregazioni multidisciplinari e dell’introduzione della figura dell’avvocato dipendente di altro avvocato, hanno incontrato e incontrano la forte resistenza degli ordini che, in nome dell’integrità della professione e del requisito dell’indipendenza dell’avvocato, in realtà lo privano di nuovi strumenti e opportunità.
E invece, proprio l’indagine conoscitiva appena conclusa ha evidenziato che le specializzazioni vanno di pari passo con le aggregazioni professionali perché assicurano più servizi legali specializzati.
Quindi, aggregazioni, collaborazioni professionali, figura dell’avvocato dipendente di altro avvocato (c’è una realtà dimensionale nel mondo della professione forense, quella della figura dell’avvocato dipendente di un altro avvocato – pari, sulla scorta dei dati evidenziati da Cassa forense, a 30.000 unità – che va regolata al più presto) e specializzazioni, accompagnate da una politica fiscale adeguata, rappresentano un punto di partenza e di svolta in quanto sono fattori, da un lato, di crescita per gli avvocati e, dall’altro, di soddisfazione per le persone, i cittadini e le imprese che a noi si rivolgono.
E poi, un altro passo in avanti lo si potrebbe fare riconoscendo soggettività giuridica ai contratti di rete tra professionisti, oggi prevista solo per le reti miste (composte, cioè, da un professionista e da un’impresa iscritta alla Camera di Commercio).

Eppure, proprio sul fronte delle aggregazioni e delle collaborazioni ci troviamo dinanzi ad una politica e ad un legislatore che, non solo sul piano fiscale, le ignorano e addirittura le disincentivano. Il regime forfettario sicuramente é una novità dal punto fiscale a sostegno della professione, é un peccato però che non sia prevista per tutte le forme in cui la professione può essere esercitata. Per il secondo anno consecutivo, infatti, con il regime forfettario, solo gli studi mononucleari possono godere di una fiscalità agevolata, dunque rivelandosi una forma dissuasiva implicita alla formazione di studi più articolati e all’organizzazione del lavoro in forma strutturata e multidisciplinare.

È evidente, quinsi, la necessità di una discussione capace di fare breccia nell’azione di governo della politica e del legislatore, per evitare che queste riflessioni cadano nel vuoto; focalizzarsi unicamente sull’equo compenso distoglie l’attenzione da altre necessità e opportunità per la professione.

* segretario generale Anf

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