La possibilità per l’ avvocato di essere socio della compagine che amministra i beni di famiglia, offerta dalla riforma forense, non vale per il passato. Non ha, dunque, nessuna possibilità di salvare gli anni di iscrizione alla Cassa forense il legale che faceva parte della società in nome collettivo di famiglia prima del 2013, anno dell’entrata in vigore della legge 247/2012. La Cassazione, con la sentenza 17114 depositata ieri, dà partita vinta alla Cassa forense che aveva annullato l’iscrizione del le gale dal ’72 al 2006, data di scioglimento della società. All’avvocato avevano dato ragione i giudici di primo grado, secondo i quali il legale non si trovava in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione perché, pur avendo la qualità di socio, non aveva mai rivestito cariche che comportavano poteri di gestione o di amministrazione. Inutilmente, poi, il ricorrente mette in dubbio la buona fede di Cassa forense che, pur essendo al corrente dei redditi che gli provenivano dalla società di famiglia, grazie alle comunicazioni annuali regolarmente presentate, per molti anni non aveva preso provvedimenti. Dal canto suo anche la Cassa fa ricorso contro la decisione della Corte d’Appello che, nel confermare la legittimità della cancellazione, aveva deciso per il rimborso dei contributi versati con gli interessi. Nelle somme era, infatti, compreso il contributo integrativo, dovuto da tutti gli iscritti all’albo, a prescindere dall’iscrizione alla Cassa, non restituibile perchè versato per “solidarietà”. La Cassazione chiarisce innanzitutto che secondo il Regio decreto (1578/33), che regolava la materia prima dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento, l’avvocato non poteva far parte neppure di una società come quella in questione a prescindere dall’assunzione di compiti gestionali. Un comportamento illecito censurabile solo per via amministrativa, con la cancellazione dall’albo e non sanzionatorio come accade per la società di capitali. Mentre la corretta comunicazione dei redditi provenienti dalla società salva l’avvocato solo dagli illeciti disciplinari che scattano in caso di “silenzio” fraudolento. Il trattamento sarebbe stato diverso se il ricorrente fosse rientrato nel raggio d’azione della nuova disciplina. L’articolo 18 della legge 247/2012 ha, infatti, allargato le maglie dell’incompatibilità, escludendola quando l’attività della società è limitata solo «all’amministrazione dei beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblicie per le società a capitale interamente pubblico». Mentre i paletti restano per il legale che riveste la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore in società di persone, in qualunque forma costituite, che esercitano attività di impresa commerciale. Off limit anche le società di capitali, anche in cooperativa. Nulla da fare, invece, per la Cassa sulla rimborsabilità o meno del contributo integrativo perché la questione non era mai stata sollevata nei gradi di merito.
25.08.15 Il Sole 24 Ore – Il sì alla società familiare non vale per il passato
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