26.01.22 Il Dubbio – L’ultima della banda Travaglio: avvocati complici dei criminali

Già in passato altri avevano insinuato che gli avvocati dei detenuti per reati di mafia fossero istitutivamente collusi con i loro assistiti. Ma un titolo apparso ieri sul Fatto quotidiano (incoerente anche rispetto alla correttezza dell’articolo) trapassa qualsiasi limite: “La Consulta cancella la censura sulla corrispondenza fra detenuti al 41-bis e avvocati. Geniale: così i boss potranno ordinare omicidi e stragi” . In pratica si attribuisce ai difensori dei reclusi al 41 bis lo stigma di “mafiosi di default”: se assistete i boss, siete pure voi certamente pronti a tutto, collusi o “colludibili”. Forse non vale neppure la pena di soffermarsi troppo nel replicare. Non è il caso di ricordare, a chi ha superato un esame da giornalista professionista, e conosce dunque senz’altro le basi del diritto costituzionale, il contenuto dell’articolo 24. È più interessante un’analisi sociologica. A partire da un interrogativo: perché? Come si può scrivere una cosa del genere? Non veniteci a raccontare che quello 0,001 per mille di casi in cui si è ravvisata e provata una effettiva collusione di un avvocato con un assistito mafioso basti a giustificare quel titolo. È evidente che non è così: il Fatto allude implicitamente a una moltitudine di casi, quindi non ha agganci col reale. È solo un insulto a casaccio. All’intera classe forense. La risposta al “perché” è altrove. E per trovarla va citato un altro titolo offensivo apparso ieri sulle pagine palermitane di Repubblica in cui in pratica si descrive la classe forense come un esercito che “se ne approfitta”: “Avvocati in coda: è qui la festa del gratuito patrocinio” . Nell’articolo, anche qui corretto, si segnala come nel capoluogo siciliano si registri il maggior numero di richieste per il beneficio (che, andrebbe ricordato, non è “gratuito” ma appunto a carico dello Stato). Nella titolazione c’è un disprezzo un filo meno sguaiato di quanto visto su Fatto. Ma si può scorgere lo stesso fastidio per il diritto di difesa, il sogno di una giustizia sommaria, rapida e autoritaria in cui, come in Ritorno al futuro , l’avvocato viene semplicemente “abolito”. È un’insofferenza non per l’avvocatura ma per il diritto. Nel caso di Repubblica, per il diritto dei non abbienti a essere difesi in giudizio, che per un giornale progressista dovrebbe essere un valore. Perciò forse non c’è neppure da offendersi. Ma da interrogarsi su quanto sia radicata nel nostro paese una cultura autoritaria, del diritto e non solo, con cui sarà sempre difficilissimo confrontarsi. LE REAZIONI DELL’AVVOCATURA Sono certo più che giustificate le reazioni di diverse voci dell’avvocatura. Serafica la replica dell’ editore del Dubbio : «L’avvocatura è grata a Travaglio per averla promossa al rango di criminale». C’è sconcerto nella nota dell’ Ocf , che osserva innanzitutto come quella della Consulta sia una sentenza «ineccepibile»: perciò, rileva l’Organismo forense, «stupiscono certi commenti secondo cui in questo modo si favorirebbe la mafia, e i boss al 41 bis potrebbero così più facilmente aggirare le restrizioni continuando a gestire i clan dal carcere, magari ordinando la commissione di reati». Così si getta «discredito su un’intera categoria, quella forense, che per il solo fatto di assicurare il diritto costituzionalmente garantito a un boss recluso, automaticamente si presterebbe a veicolare gli ordini della criminalità». Indignati, liquidatori e non privi di un rimando a querele per diffamazione i toni dell’ Ucpi : «Ci siamo interrogati se valesse la pena replicare a una simile, miserabile infamia, frutto di un analfabetismo così profondo e irredimibile da risultare alla fine disarmante. Ma pur essendo tali i tempi che viviamo, cioè tali che possano purtroppo trovare voce idee al più degne di essere scompostamente vergate su qualche muro un po’ appartato, non possiamo non reagire a difesa della dignità della professione forense, e della onorabilità di chi la esercita». E perciò l’associazione dei penalisti considera l’insinuazione sugli avvocati «talmente insensata, paranoide, frutto del più cupo analfabetismo, da meritare – insieme al nostro disprezzo – la sanzione che merita ogni atto diffamatorio. E così sarà». L’ Aiga è esplicita nell’esprimere «il proprio fermo dissenso» per le parole del Fatto: che, secondo il presidente dell’Associazione giovani avvocati Francesco Paolo Perchinunno , sono «gravissime e irricevibili: mancano di rispetto a tutta l’avvocatura e in particolar modo a quei colleghi, ancora vivi nella nostra memoria come Fulvio Croce e Serafino Famà, che hanno pagato con la vita quel dovere di indipendenza che ogni avvocato assume con il giuramento. Sarebbe il caso di ricordare al Fatto come il diritto alla difesa sia uno dei cardini della Costituzione». Su un registro non tanto diverso da quello della nota Ucpi è la replica dell’ Associazione nazionale forense ,che parla di «grave, offensiva e inopportuna affermazione del Fatto nei confronti dell’intera categoria degli avvocati». Il giornale, ricorda il presidente dell’Anf Giampaolo Di Marco , «si è lanciato in un’affermazione vergognosa e imbarazzante. Gli avvocati non sono messaggeri di criminalità o corrieri, ma professionisti a cui le persone, anche coloro che sono stati condannati per reati gravissimi, affidano il loro destino affinché ottengano il trattamento più giusto ed equo previsto dall’ordinamento». Di Marco aggiunge: «L’inaccettabile affermazione, con il suo intento acchiappa-like, dirotta l’attenzione da quanto correttamente scritto dalla Corte, ovvero che vi sia una “generale e insostenibile presunzione di collusione del difensore dell’imputato, finendo così per gettare una luce di sospetto sul ruolo insostituibile che la professione forense svolge per la tutela non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello stato di diritto nel suo complesso” ».

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