27.01.14 Italia Oggi Sette – L’Avvocatura sta scoppiando

C’è chi all’interno dell’Avvocatura sostiene che la riforma forense migliorerà le condizioni della professione e chi, al contrario, pensa che peggiorerà le cose. C’è chi è convinto che «l’umiliazione» della giustizia sia, in fondo, colpa dell’incapacità delle Istituzioni forensi di dialogare con la politica e chi, proposte alla mano, si lamenta di non essere ascoltato abbastanza. Su un punto, però, tutte le anime della categoria hanno una linea comune: la necessità del numero programmato nelle facoltà di giurisprudenza per evitare alle nuove leve un futuro da proletari. Per farsi un’idea basta scorrere i redditi medi degli under 40 e il numero crescente di legali (sono già 56 mila) sotto i 10 mila euro annui. Un’Avvocatura che rischia di scoppiare è l’allarme lanciato dalla recente tre giorni (16/18 gennaio) dell’Oua a Napoli. Un’assise che ha dato la possibilità, in una sola occasione, di affrontare i nodi della professione a tutte le rappresentanze dei 250 mila avvocati iscritti all’ordine: Consiglio nazionale forense, Consigli dell’ordine, Cassa forense, Organismo unitario dell’avvocatura, sindacati, movimenti spontanei. «L’analisi della realtà attuale dell’avvocatura italiana non può non portare a cogliere che lo stato di crisi in cui versa la professione tutta sta colpendo più duramente i settori più deboli della stessa,i colleghi che si stanno affacciando o si sono affacciati da poco all’esercizio della professione forense», ha spiegato Luca Borghi, coordinatore del Gruppo di lavoro «Giovane Avvocatura» all’interno dell’ottava conferenza Oua. «Un’Avvocatura che si concepisce come corpus non può restare indifferente a tale situazione di disagio; deve anzi cercare soluzioni, aprirsi a nuove opportunità professionali e con intelligenza saper cogliere anche nella situazione di difficoltà l’occasione per riformarsi. È necessaria un’adeguata e programmata selezione all’ingresso nel mondo della formazione universitaria: l’introduzione del numero programmato alla università o quantomeno la creazione di un percorso universitario dedicato in via esclusiva alla svolgimento delle professioni legali sono il primo passo per garantire laureati in possesso di una formazione di base adeguata. Se la categoria vuole giovani motivati», ha aggiunto, «deve entrare nelle università fornendo agli universitari un orientamento finalizzato a una scelta consapevole della professione». Il tema tuttavia non è nuovo al dibattito interno. Durante i lavori di Napoli, il Consiglio nazionale forense presieduto da Guido Alpa ha ricordato che «Il Cnf in ogni sede, politica e universitaria, ha rappresentato da tempo la necessità di inserire il numero programmato alle facoltà di giurisprudenza. La competenza è del ministero dell’Università e occorre una legge ordinaria». Impegno, quest’ultimo, rivendicato anche dall’Associazione nazionale forense (Anf) guidata da Ester Perifano. A testimoniare quanto sia urgente porre un freno all’iscrizione in massa all’albo è stato anche il neoeletto presidente di Cassa forense. «In Italia ci sono circa 250 mila avvocati», ha sottolineato Nunzio Luciano, « un numero evidentemente superiore rispetto alla domanda occupazionale del paese.È inutile che le università continuino a sfornare migliaia e migliaia di professionisti ogni anno quando non ci sono spazi nel mondo del lavoro. È per questo che la prima cosa da realizzare,e credo di parlare non solo a titolo personale ma anche a nome di gran parte dell’Avvocatura, è l’accesso programmato alla professione. Il numero programmato è l’unico strumento per garantire un futuro ai giovani più motivati e preparati. Dare a tutti la possibilità di entrare in un mercato saturo significa impedire a tutti di potervi accedere». Riduzione dei numeri di accesso alla professione, maggiori tutele nel rapporto di collaborazione e una conseguente maggiore copertura previdenziale sono le questioni imprescindibili per la professione rappresentate più volte alla Conferenza Oua dalla presidente nazionale dell’Associazione italiana giovani avvocati (Aiga). «Nell’aprile 2013», ha ricordato Nicoletta Giorgi, «la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che il numero chiuso all’università non viola il diritto allo studio. Nella specie, la Corte ha ritenuto che l’imposizione di un numero chiuso, determinato sulla base delle risorse materiali a disposizione delle università e delle effettive esigenze di una data professione in seno alla società, sia conforme alla giurisprudenza consolidata della Corte. Oggi la professione forense ha l’esigenza di una riduzione dei numeri di accesso alla professione. Perché l’avvocatura non ha ancora raggiunto questo risultato?», si è chiesta retoricamente.A perorare la necessità di un nuovo corso soprattutto per i giovani avvocati sono stati anche i rappresentanti dei giovani dell’Agifor, Carlo Testa, del movimento «Mobilitazione generale dell’avvocatura», Cosimo Matteucci, degli avvocati di famiglia, Luisella Fanni.

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