L’avvocato che svolge temporaneamente la sua attività all’estero e versa i contributi alla Cassa forense ha diritto al riconoscimento di quel periodo ai fini contributivi. È ininfluente che abbia dichiarato reddito zero al Fisco italiano se ha assolto i suoi obblighi tributari in un altro Paese. La Corte di cassazione, con la sentenza 4584 depositata ieri, ha respinto il ricorso della Cassa che subordinava il riconoscimento delle prestazioni previdenziali ai fini della pensione di vecchiaia al requisito della continuità che, secondo l’ente, poteva essere accertata solo in base al reddito. Un criterio fissato dal Comitato dei delegati che la Cassazione contesta. Per i giudici la continuità è invece dimostrata dallo svolgimento effettivo della professione e dal pagamento dei contributi. Con una diversa interpretazione sarebbe leso il diritto del professionista a lasciare il proprio Paese, garantito dall’articolo 13 secondo comma, della Dichirazione universale dei diritti umani. Secondo la ricorrente, al contrario, la dichiarazione dei redditi non poteva essere sostituita con l’accertamento di un affettivo svolgimento dell’attività all’estero, sia pure per un periodo limitato. La Cassa respinge al mittente anche l’accusa di violare, con i suoi vincoli, l’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo. Non ci sarebbe alcuna lesione del diritto alla mobilità professionale, perché il problema potrebbe essere agevolmente superato aderendo al sistema previdenziale straniero provvedendo poi alla ricongiunzione dei contributi in Italia.
Per la Cassazione è invece il Comitato a dover colmare le sue lacune, non solo attraverso l’articolo 13 della Dichiarazione, ma anche facendo riferimento all’articolo 38 della Costituzione, che nel secondo comma garantisce ai lavorarori «il diritto a mezzi adeguati alle loro esisgenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria» impedendo in questo modo che periodi di lavoro siano, senza ragione, privi della copertura previdenziale. La Cassazione specifica che le deliberazioni del Comitato devono fornire, attraverso il riferimento al reddito, solo i criteri di determinazione dei contributi. Secondo i giudici la restituzione dei contributi già versati potrebbe avvenire solo se è accertato il mancato esercizio della professione, ma non può dipendere dal reddito minimo ai fini Irpef o dall’esistenza di un minimo volume d’affari riguardo all’Iva. La garanzia costituzionale (articoli 3 e 38) si estende al legittimo affidamento del lavoratore, sia subordinato sia autonomo, sulla tutela previdenziale che non può essere messa in discussione «solo perché risulta ex post che in passato non erano stati integrati i presupposti specifici, reddituali o assimilati dettati dalla normativa interna della Cassa».
Sempre ieri la Cassazione si è occupata ancora di avvocati (sentenza 9357) negando al difensore il compenso per l’attività svolta in favore di un imputato a cui è stato revocato il beneficio dell’assistenza a carico dello Stato. Il legale deve essere preparato agli effetti di un accertamento, che può essere anche successivo al procedimento con efficacia retroattiva. Al legale che, oltre a non precepire i compensi, paga anche in proprio le spese del procedimento, resta solo la possibilità di rivalersi sul cliente.
Patrizia Maciocchi