La riforma dell’ordinamento e le prospettive di evoluzione nella realtà forense. Due temi importantissimi, che abbiamo affrontato in compagnia dell’Avvocato Luigi Pansini, segretario Generale dell’ANF (Associazione Nazionale Forense). Qui di seguito vi proponiamo la nostra intervista:
Avvocato Pansini, Lei è il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense, una delle realtà associative più rappresentative nel panorama dell’avvocatura italiana. Il suo, quindi, è un punto di vista privilegiato sul mondo dell’avvocatura e sulla crisi che questa attraversa ormai da diversi anni. Nel 2012 il governo Monti, grazie anche al via libera ottenuto dal congresso nazionale forense di Bari, ha varato la riforma dell’ordinamento forense. Ci può spiegare quali erano gli obiettivi della riforma e se questi sono stati raggiunti?
“Innanzitutto devo dire che l’allora Presidente Monti aveva letto la legge professionale e sono tuttora d’accordo con lui quando nel dicembre 2012 affermò che la riforma non aiutava i giovani avvocati, non disciplinava l’accesso alla professione e aumentava solo i poteri degli organi rappresentativi dell’avvocatura. Parole profetiche di chi, e furono veramente in pochi, ebbe la pazienza di leggere tutti gli articoli della nuova legge ordinamentale.
Ricordo anche che ci furono parole di grande commozione da parte di chi la volle a tutti i costi, ma a distanza di quasi quattro anni, la legge professionale sta rivelando tutta la sua inadeguatezza e la sua antimodernità rispetto alle reali esigenze dell’Avvocatura. I regolamenti attuativi più importanti sono tutti sub iudice ed è di tutta evidenza che l’Avvocatura, soprattutto i più giovani, non ha tratto alcun giovamento dalla nuova legge, anzi nella legge vi sono vincoli e limiti di ogni tipo per la crescita e la migliore organizzazione della professione. Ed è grave, per esempio, che sia stato il Ministro della Giustizia e non la massima rappresentanza istituzionale dell’Avvocatura (inaugurazione dell’anno giudiziario, marzo 2016) a dare una lettura dello stato in cui versa l’avvocatura e a sottolineare la necessità di regolamentare la figura dell’avvocato monocommittente e di aprirsi a modelli organizzativi di tipo societario e multidisciplinare. A Bari l’Avvocatura si espresse a favore della legge professionale e al tempo stesso, con gli stessi numeri e con la mozione immediatamente successiva, ne chiese profonde ed immediate modifiche. Ma come si sa, il provvisorio diventa definitivo”.
Immagini di essere il Ministro della Giustizia per un giorno, quali sarebbero i primi tre interventi che adotterebbe in favore degli avvocati italiani?
“Regolamentazione dell’avvocato monocommittente all’interno della legge professionale, introducendo una forma di rapporto subordinato o parasubordinato con tutele per i più giovani. Migliorare l’organizzazione dell’esercizio della professione aprendo definitivamente alle società anche multidisciplinari con i limiti già contenuti nel DDL concorrenza. Riforma del Consiglio Nazionale Forense: metodo elettivo, separazione dei poteri. Su tutto mi piacerebbe riformare la legge ordinamentale rendendo l’Avvocato soggetto solo alla legge, come è stato per 80 anni grazie ad una legge del ’33 e ad un legislatore che sapeva fare bene il suo mestiere, e non al Ministero della Giustizia e al Governo”.
Perché i provvedimenti da Lei immaginati non sono stati assunti dai governi?
“Innanzitutto c’è scarsa considerazione da parte della politica del mondo delle professioni e del ceto medio che esse rappresentano. E ovviamente, manca un’attenzione nei confronti dell’Avvocatura. La sensazione è che l’Avvocatura oggi sia utile per portare a termine progetti nell’interesse di altri e non degli Avvocati. Il sistema giustizia non regge più e velocemente sono adottate misure tese ad alleggerirlo chiedendo l’aiuto, anche economico, dell’Avvocatura. Quando poi si tratta di adottare misure nell’interesse della sola Avvocatura, la politica prende tempo, valuta e ragiona, per poi tirar fuori una misura rabberciata per gli Avvocati “in cambio” di una misura utile per altri ma non per l’Avvocatura. Il rapporto è evidentemente impari, anche per colpa dell’Avvocatura stessa. Chi si proclama rappresentante degli Avvocati dovrebbe e potrebbe far molto di più per gli Avvocati”.
Il ministro Orlando si è sempre detto vicino alle istanze del foro ma, sino ad oggi, ha dialogato esclusivamente con il Consiglio Nazionale Forense dimenticando l’avvocatura di base. Il risultato di tale “dialogo” si è concretizzato in una sempre più evidente degiurisdizionalizzazione della tutela dei diritti e in una chiusura totale nei confronti di praticanti e giovani avvocati. Che idea si è fatto del lavoro sin qui svolto dal Governo e CNF?
“La risposta si collega a quella precedente. La giovane avvocatura è senza regolamentazione, il ddl concorrenza langue in Parlamento, le specializzazioni sono una chimera e la soluzione che oggi si vuole proporre è peggiore di quella contenuta nel regolamento annullato dal TAR, molti ordini operano in regime di prorogatio, il regolamento sui cassazionisti è fortemente discriminatorio per i colleghi che hanno acquisito il titolo in Italia rispetto a quelli che lo hanno conseguito all’estero, il tirocinio professionale è diventato un percorso ad ostacoli per giungere ad un esame di abilitazione che non dà le stesse garanzie del superamento di un concorso per magistrati e notai. Certo, il tema d’attualità è la giurisdizione forense ma siamo ancora lontani dal soddisfare le esigenze immediate dell’Avvocatura.
Il decreto sulla compensazione dei crediti da gratuito patrocinio con i debiti fiscali è una buona misura ma sul piano applicativo dobbiamo ancora verificarne la bontà e l’efficacia. La presenza degli avvocati nei consigli giudiziari o negli uffici legislativi è buona cosa ma cosa ben diversa dall’affrontare i temi che riguardano l’Avvocatura.
Ma la croce non la devono portare solo Governo e Consiglio Nazionale Forense. Se l’Avvocatura vuole il meglio per sé deve anche conquistarselo. La soluzione non è chiudere ai giovani, che è l’unica strada che vedo perseguire. Eppure le possibilità le ho elencate prima e sono tutte percorribili, alcune ad un passo dal traguardo. E rappresentano il primo di cento passi in avanti”.
Sabato mattina interverrà a Palermo ad un evento organizzato dall’Associazione dei Giuristi Siciliani avente ad oggetto il futuro della rappresentanza dell’avvocatura italiana. Insieme a Lei parteciperanno i presidenti degli ordini di Roma, Genova e Palermo: una grande occasione di
dialogo tra i protagonisti della politica forense italiana in vista dell’imminente Congresso Nazionale Forense che si terrà a Rimini dal 6 all’8 ottobre. Crede che sia possibile far partire proprio dalla Sicilia un messaggio di unità e speranza per l’avvocatura?
“Innanzitutto i miei complimenti per l’idea e l’organizzazione vanno all’AGIUS, associazione palermitana assai attiva sul territorio che da pochi mesi fa parte della grande famiglia ANF. Sono particolarmente contento di questa nuova sede a Palermo e del feeling con il suo presidente e i suoi dirigenti. Sarà sicuramente un’occasione per dialogare perché la mancanza di dialogo ha dato ad oggi pessimi risultati. È errato ritenere che le associazioni possano fare a meno degli ordini e gli ordini a meno delle associazioni: molti colleghi con esperienza associativa alle spalle siedono nei consigli degli ordini circondariali i quali si nutrono anche dell’elaborazione e dei contenuti delle associazioni. Riprendiamo le fila da qui. Il confronto è sempre utile”.
Marco Capone