Equo compenso e nuovi parametri forensi

Il Sole 24 Ore – 

A distanza di quattro anni dal primo decreto, il ministero della Giustizia rivedei parametri per liquidarei compensi professionali degli avvocati. I parametri non vanno confusi con le vecchie tariffe forensi. Queste ultime erano sempre vincolanti nei minimi, mentre i parametri si applicano solo quando manca un accordo scritto o comunque quandoè il giudicea determinare il compenso, ad esempio nel calcolo delle spese del giudizio.I parametri ministeriali sui compensi continuano però a rappresentare un tema sensibile per i professionisti. Tanto più dopo le norme sull’equo compenso, che considerano proprioi parametri professionali come indicatori della congruità dei compensi pattuiti. Il nuovo decreto (Dm 37/2018, pubblicato sulla «Gazzetta» del 26 aprile scorso) nasce da una proposta del Consiglio nazi0nale forense che per molti aspetti è stata soddisfatta. Dove il giudice poteva applicare riduzioni del compenso base oltre a una certa soglia, il decreto ha precisato che la soglia è invalicabile. Dove invece il compenso base poteva essere rialzato fino a un certo ammontare, il decreto ha lasciato al giudice la facoltà di prevedere incrementi ancora maggiori. Anche le altre novità sono in linea di massima favorevoli agli avvocati. Vengono ad esempio attratte nei parametri attività prima non previste, come la mediazione e la negoziazione assistita, innalzati i compensi per i giudizi davanti al Consiglio di Stato e persino introdotto un bonus per gli avvocati che depositano atti telematici consultabili con la ricerca testuale, semplificando il lavoro dei giudici. Quali saranno gli effetti concreti è difficile prevederlo. Un timore che viene ricollegato agli innalzamenti dei compensi minimiè che possano mettere in difficoltà proprio i professionisti più giovani e in cerca di affermazione. Questi rischierebbero di avere spazi ridotti per scontare la loro minore reputazione con prezzi più aggressivi. Da questo punto di vista, andrà valutato l’effetto combinato del nuovo decreto con le norme sull’equo compenso, che almeno in certi casi rendono i parametri professionali assimilabili ai vecchi minimi tariffari. I giudici, per altro verso, anche con il nuovo decreto continuano ad avere margini di discrezionalità nella definizione dei compensi di base, con i quali potrebbero riassorbire i limiti oggi fissati ai meccanismi di riduzione. Non è detto che il fatturato complessivo dei servizi legali veda un aumento. Le ragioni dell’intervento e gli effetti attesi dal decreto, ad ogni modo, avrebbero dovuto essere illustrati nella relazione tecnica di accompagnamento delle norme. Dalla relazione si comprende che il procedimento di adozione del decreto è stato indirizzato ai soli professionisti. Il ministero ha sentito il Cnf senza prevedere altre forme di partecipazioneo di consultazione pubblica. I clienti dei servizi legali non sono stati inclusi tra i principali destinatari delle nuove misure. Il ministero, inoltre, non ha svolto indagini in proprio e si è affidato alle rilevazioni statistichee alle valutazioni del Cnf. Anche gli obiettivi finali sono concentrati sul garantire ai professionisti compensi proporzionati e dignitosi. I clienti, secondo la relazione, avrebbero il vantaggio di compensi da pagare più certi, ancorché più elevati. Insomma, potrebbero ridestarsi le posizioni critiche di chi, come l’Autorità antitrust, vede in questo genere di misure una sorta di contenitore amministrativo delle decisioni prese dagli organi professionali. La Corte di giustizia, nella sentenza Arduino del 2002, aveva salvato le tariffe forensi, rilevando che lo Stato italiano non aveva interamente delegato al Cnf l’elaborazione della tariffa. Proprio questo standard di valutazione dovrebbe suggerire di rendere l’istruttoria amministrativa pienamente autonoma dalle posizioni espresse, del tutto legittimamente, dal Cnf. Forse sarebbe anche il tempo di aprire il procedimento a tutti gli interessi coinvolti, ivi inclusi quelli dei clienti.

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