Fallimenti, la priorità è salvare le aziende

Corriere della Sera, di Enrico Marro –

Via la parola fallimento, che segna come uno stigma l’imprenditore. In affari può andar male, ma se accade per motivi di mercato e non per condotte illecite, allo stesso imprenditore deve essere data la possibilità di riprovarci. A questa logica, di stampo anglosassone, si ispira la riforma del diritto fallimentare contenuta nel disegno di legge delega approvato mercoledì sera dal Consiglio dei ministri. «Questa legge – ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando – è una riforma strutturale». La linea guida è la prevenzione: intervenire cioè prima che sia troppo tardi e all’azienda non resti altra strada che l’insolvenza. Al fallimento si sostituisce una procedura semplificata di liquidazione giudiziale dei beni, nella quale si innesta una possibile soluzione concordataria. Nella riforma anche un’altra novità: una procedura per le insolvenze dei gruppi di imprese.

Il disegno di legge introduce una fase preventiva di «allerta», per anticipare l’emersione della crisi. Vengono considerati dei parametri-spia: per esempio, non riuscire più a versare i contributi per i propri dipendenti. In questi casi l’impresa dovrebbe intraprendere un percorso extragiudiziale, assistita da mediatori esperti nel ristrutturare l’azienda. «In questa fase – spiega il presidente aggiunto della Cassazione, Renato Rordorf, che ha guidato la commissione ministeriale per la riforma – va garantita la massima riservatezza. Il mediatore non deve avere l’obbligo di denunciare anche eventuali reati percepiti, perché l’assoluta confidenzialità di questo passaggio deve far sì che l’imprenditore non si sottragga». La fase di «allerta» è funzionale ai negoziati per il raggiungimento dell’accordo con i creditori.

La riforma prevede regole processuali più semplici e veloci. Le procedure di maggior valore saranno trattate dai tribunali delle imprese, quelle minori da un numero ridotto di tribunali dotati di personale specializzato. Attualmente circa il 90% dei concordati hanno natura liquidatoria e portano al dissolvimento dell’impresa. E la percentuale pagata in media nei concordati ai creditori chirografari non supera il 10%. La riforma circoscrive il concordato al cosiddetto concordato in continuità, quello che contempli un piano per la prosecuzione dell’attività e allo stesso tempo sia consono al soddisfacimento dei creditori.

Si prevede anche l’istituzione del «Common», una piazza telematica per trasformare i crediti incagliati in buoni da spendere su una piattaforma nazionale delle vendite fallimentari. Infine sarà più facile ottenere la cosiddetta esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti, che potrà essere chiesta anche dalle società e non più solo dalle persone fisiche.

Il ddl contiene anche un pacchetto di norme per la revisione delle amministrazioni straordinarie. Vengono innalzate le soglie d’accesso, sia per il volume d’affari calcolato sulla media degli ultimi tre esercizi, sia per numero di dipendenti – che passa da 200 a 400 per ogni impresa e 800 in totale in caso di richiesta da parte di più imprese dello stesso gruppo. Per le quotate, le imprese con almeno mille dipendenti, le grandi operanti nei servizi pubblici essenziali, il ministro dello Sviluppo dispone direttamente, in via provvisoria, l’ammissione alla procedura. E i commissari saranno scelti da un albo ad hoc.

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