Il Sole 24 Ore Dossier – Alessandro Galimberti
Riforma è – finalmente – fatta e, pur se a effetti differiti nel tempo, è lecito sostenere che dopo 77 anni, ma soprattutto dopo i ripetuti interventi spot degli ultimi tre lustri, la legge sulla crisi di impresa imbocca una strada nuova, riallineandosi con la realtà e con le esigenze reali del sistema. Inutile nascondersi che l’intervento di rinormazione originato dalla Commissione Rordorf riporta la gestione dell’ “ex” fallimento (definizione contestualmente finita al bando) dentro l’alveo del controllo pubblico, prima ancora che giurisdizionale. La parentesi iniziata a metà del decennio scorso, non a caso nell’ultimo periodo di ciclo espansivo dell’economia nazionale, aveva ciecamente creduto – e perciò investito – sulla capacità “endogena” del sistema di stare in equilibrio e di auto-rigenerarsi. Un sistema, va sottolineato, caratterizzato e anzi fondato sul «rischio di impresa» che ne è la cifra, e che quindi non può non confrontarsi con la fisiologica fallibilità del tentativo (tale essendo in definitiva l’impresa). Nell’ultimo decennio d’oro dell’economia, terminato con la grande crisi ormai strutturalizzata dal 2008 , si era creduto che la degiurisdizionalizzazione della procedura avrebbe in sostanza e solamente velocizzato il processo di rigenerazione delle imprese: non a caso nelle pieghe di norme già allora troppo datate si erano ricavate formule concordatarie sin troppo ottimistiche, nella migliore delle ipotesi, tutte volte a considerare la patologia di impresa come un accidente comunque e sempre velocemente superabile. Invece non era e non è stato così. Poco meno di due anni fa le statistiche realizzate dalla sezione specializzata del Tribunale di Milano – che da solo rappresenta, per una serie di ragioni facilmente intuibili, il 10% dell’intero mercato nazionale – parlavano di venticinque miliardi di euro di massa debitoria, di cui 17 formatisi – guarda caso – nel quinquennio 2010/15 e in cui erario ed enti previdenziali erano e tuttora sono in credito, solo a Milano, per 9,58 miliardi. In questo contesto le percentuali di recupero dai concordati preventivi sono state bassissime, con tassi tra il 6% e l’8 % di soddisfazione dei debitori. Il motivo? Analizzando i bilanci delle società fallite o in concordato, il concordato o la procedura concorsuale sarebbero dovuti scattare anni prima. La riforma è sostanzialmente ripartita da questi dati e dalla consapevolezza, raggiunta alla fine anche dai più fieri sostenitori del lasseiz faire , che una tale massa debitoria in espansione a macchia d’olio avrebbe finito per attentare alla stabilità stessa del sistema. Così si spiega, innanzitutto, lo sdoganamento delle procedure di alert, figlie di altri sistemi giuridici (soprattutto francese) su cui negli anni scorsi si era combattuta una durissima battaglia di principio. L’effetto di quel dibattito lo si trova oggi nell’introduzione nelle soglie e nei limiti di utilizzo all’alert – vincoli che probabilmente depotenziano troppo il segnalatore pubblico (il primo che ha piena visibilità sulle anomalie di gestione) e che forse innescheranno una nuova stagione di contenzioso dilatorio – e nella estrema cautela sulla “privacy” delle procedure pre-giurisdizionali, per non compromettere la reputazione dell’imprenditore in crisi. Tuttavia la riforma, bisogna riconoscere, svolta decisamente sul tema dei controlli endoaziendali, chiamando a rapporto l’intera filiera professionale. L’accento posto sul ruolo e cioè anche sulle responsabilità dei revisori, è in fondo un doppio appello alla parte migliore dei professionisti, lasciando definitivamente alle spalle la stagione non sempre edificante degli attestatori più o meno in bianco. L’intento di professionalizzazione dell’intero sistema spicca però anche dall’istituendo Albo dei soggetti, anche in forma societaria o associata, dal quale l’autorità giudiziaria individuerà i professionisti chiamati all”incarico di curatore, commissario giudiziale o liquidatore, adottando criteri di trasparenza e di rotazione. Un progetto a cui manca, stranamente e in fondo incoerentemente, proprio l’ultimo tassello: la specializzazione dei giudici.
La mappa dei cambiamenti
L’ALLERTA
Decisivi Inps e Fisco Il decreto legislativo introduce, per la prima volta, nel nostro ordinamento giuridico, un pacchetto di misure per favorire l’emersione tempestiva della crisi d’impresa prima dell’insolvenza conclamata. La segnalazione della situazione di difficoltà è affidata a un doppio canale, oltre che all’attivazione autonoma dell’imprenditore: uno innescato dall’intervento degli organi di controllo interno e l’altro dai creditori istituzionali, Inps e Fisco. A evitare l’arbitrio o, comunque, segnalazioni strumentali, il provvedimento affida ai dottori
commercialisti la determinazione di indici da aggiornare periodicamente e fissa con maggiore precisione i parametri che danno luogo all’intervento dell’amministrazione finanziaria e di quella previdenziale. Prevista comunque l’esclusione delle grandi imprese, di gruppi di imprese di rilevante dimensione e società con azioni quotate, delle imprese che leggi speciali assoggettano in via esclusiva alla liquidazione coatta amministrativa, come le banche, le imprese che esercitano attività di intermediazione finanziaria e le compagnie assicuratrici
LA PROCEDURA DI COMPOSIZIONE
Possibile l’esito giudiziale A gestire la procedura di allerta saranno gli Organismi di composizione della crisi d’impresa (Ocri), già costituiti o in corso di costituzione, presso ogni Camera di commercio. Imposta una tempistica veloce che inizia con l’audizione del debitore e degli organi di controllo societari. La norma prevede che si procede alla loro convocazione ed audizione in via riservata e confidenziale. Le modalità di gestione devono essere dunque tali da garantire che i terzi non vengano a conoscenza della procedura, per evitare il diffondersi di inutili allarmismi.
L’istituto della composizione assistita della crisi, a differenza dell’allerta, prevede invece una forma di accordo con i creditori con la mediazione dell’Organismo di composizione. In questo contesto cade la necessità della riservatezza, ma si apre la strada, su richiesta dell’imprenditore, per misure protettive, per un periodo massimo di nove mesi, da azioni esecutive. In entrambi i casi, quando si configura l’insolvenza anche per responsabilità del debitore, la procedura può “chiudersi” con la segnalazione al Pm per la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale
I CONTROLLI
Più spazio per sindaci e revisori Coerente con quanto previsto per le misure di allerta e indirizzata a rafforzare i livelli di responsabilità dei vertici aziendali, la riforma allarga l’obbligo di adozione dell’organo di controllo interno, sindaco o revisore, modificando le norme del Codice civile. I cambiamenti allo statuto dovranno essere deliberati entro un arco di nove mesi (termine considerato congruo per consentire al nuovo assetto dei controlli di diventare operativo prima dell’entrata in vigore della parte della riforma dedicata delle misure di allerta) e sono obbligatori quando, per due esercizi
consecutivi, è stato superato uno dei seguenti limiti: 1) stato patrimoniale: due milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: due milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: dieci unità. L’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore di cui alla lettera c) del terzo comma cessa quando, per tre esercizi consecutivi, non è stato superato nessuno dei limiti. L’obbligo dovrebbe coinvolgere, secondo le prime stime, circa 140mila società a responsabilità limitata e cooperative
I GRUPPI
Al via una disciplina su misura La riforma interviene su un’assenza “storica” della Legge fallimentare, quella di una disciplina della crisi d’impresa dedicata alle holding. Così, è stato previsto lo svolgimento di una procedura unitaria per la trattazione dell’insolvenza delle diverse imprese del gruppo, individuando criteri di competenza territoriale idonei allo scopo, precisando che, anche in caso di procedure distinte che si svolgono in sedi giudiziarie diverse, ci siano obblighi di reciproca informazione a carico degli organi di tali procedure. È stata disciplinata la possibilità di proporre un unico ricorso sia per
l’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti dell’intero gruppo, sia per l’ammissione di tutte le imprese del gruppo alla procedura di concordato preventivo e per la successiva eventuale omologazione, anche con presentazione di un piano concordatario unico o di piani tra loro collegati. Sono previsti un unico giudice delegato e un unico curatore ma distinti comitati dei creditori per ciascuna imprese del gruppo, oltre un criterio di ripartizione proporzionale dei costi della procedura tra le singole imprese del gruppoIL CONCORDATO
Obiettivo continuità A venire valorizzata è soprattutto il concordato in continuità: quando cioè, con l’impresa in situazione di crisi o anche di insolvenza, la proposta prevede il superamento attraverso la prosecuzione (diretta o indiretta) dell’attività aziendale, sulla base di un adeguato piano che consenta, di salvaguardare il valore dell’impresa e, tendenzialmente, i livelli occupazionali, con il soddisfacimento dei creditori. La proposta liquidatoria è ammessa solo se essa si avvale di risorse poste a disposizione da terzi (nuova finanza) che aumentino in modo significativo le prospettive di soddisfacimento per i creditori. Quanto allo svolgimento della procedura, senza stravolgere in modo superiore al necessario l’attuale disciplina, sono state introdotte alcune misure di semplificazione, dirette a rendere il procedimento più snello e veloce. Per esempio, è stata eliminata l’adunanza dei creditori e si è previsto che, nel caso in cui la proposta di concordato prevede la necessità di porre in essere operazioni societarie, quali sono le fusioni, le scissioni, le trasformazioni, l’eventuale opposizione a tali atti è proposta dai creditori nell’ambito del giudizio di omologazioneIL CONSUMATORE
In campo un fallimento «minore» Il Codice della crisi d’impresa ingloba anche tutta la disciplina del “fallimento” del consumatore e delle piccole imprese sotto le soglie attuali di rilevanza. A venire valorizzata è soprattutto la liberazione dai debiti, che rappresenta il vero obiettivo del soggetto destinatario della normativa, per consentirgli nuove opportunità nel mondo del lavoro, liberandolo da un peso che rischia di divenire insostenibile e di impedirgli ogni prospettiva futura. In linea con i criteri stabiliti dalla legge delega, si è deciso di non esigere per l’ammissione alle procedure di sovraindebitamento requisiti soggettivi troppo stringenti, tenuto conto, da un lato, dell’eterogeneità dei soggetti destinatari (spesso privi di livelli culturali idonei per rendersi conto del loro progressivo sovraindebitamento), dall’altro della difficoltà di individuare puntuali criteri di merito sicuramente verificabili, a causa dell’estrema varietà delle situazioni di vita che possono essere motivo di pesanti indebitamenti, senza rischiare di generare un contenzioso dalle proporzioni difficilmente prevedibili o senza, altrimenti, finire per restringere troppo la portata dell’istitutoGLI ACCORDI
Effetto domino Per rendere più duttili e meglio fruibili gli accordi di ristrutturazione, che sono ormai entrati in pianta stabile e con un peso sempre più significativo nella disciplina della crisi d’impresa, sono state previste agevolazioni al momento dell’accesso sia attraverso la previsione di accordi agevolati, sia attraverso la previsione della possibilità di estenderne l’efficacia anche a creditori non aderenti appartenenti a categorie omogenee (anche diverse da quella dei creditori finanziari), mantenendo comunque fermo l’ovvio diritto di opporsi all’omologazione, se l’accordo viene raggiunto con creditori che rappresentano una rilevante percentuale (il 75%) del totale dei crediti appartenenti alla medesima categoria e se l’accordo prevede la prosecuzione dell’esercizio dell’attività imprenditoriale. Allineata poi la disciplina della bancarotta negli accordi di ristrutturazione che saranno approvati senza assenso del Fisco. In coerenza con quanto previsto per il concordato preventivo, si è previsto che, in caso di società con soci illimitatamente responsabili, gli effetti degli accordi si estendono anche a loroI PROFESSIONISTI
Albo aperto ai consulenti Viene istituito l’Albo dei soggetti, anche in forma societaria o associata, dal quale l’autorità giudiziaria individuerà i professionisti chiamati all’incarico di curatore, commissario giudiziale o liquidatore. All’Albo saranno iscritti “di diritto” avvocati e dottori commercialisti in grado di documentare di avare svolto un incarico in almeno quattro procedure nell’ultimo quadriennio. La nomina è fatta dall’autorità giudiziaria tenuto conto delle risultanze dei rapporti riepilogativi periodici e finali redatti dai soggetti incaricati e degli incarichi in corso, in modo da assicurare che il professionista nominato abbia realmente il tempo per dedicarsi al nuovo incarico. Le nomine devono essere effettuate secondo criteri di trasparenza e rotazione nell’assegnazione degli incarichi. Con l’ultimissima modifica introdotta nel testo, l’Albo è stato parzialmente aperto all’ingresso dei consulenti del lavoro, che potranno essere chiamati a svolgere gli incarichi in tutte le procedure nel quali sono presenti dipendenti e quindi, soprattutto, nei concordati preventivi in continuità aziendale