Il Sole 24 Ore – Antonino Porracciolo –
Il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non ha diritto al compenso professionale a carico dell’Erario per l’attività svolta nella fase della mediazione obbligatoria; si tratta di regola assoluta, che non ammette deroghe neanche se, dopo il fallimento del tentativo di conciliazione, non segue la fase giudiziale. Lo afferma la Cassazione nella sentenza 18123/2020, pubblicata il 31 agosto.
Al giudice di legittimità si è rivolto un avvocato che in sede di mediazione obbligatoria aveva rappresentato il cliente in una controversia locativa. La procedura aveva avuto esito negativo, ma la vicenda non era poi sfociata in un processo perché le parti avevano raggiunto un accordo stragiudiziale. Il legale aveva allora chiesto al tribunale la liquidazione dei compensi secondo la disciplina del patrocinio a spese dello Stato, sul presupposto che il suo cliente era stato ammesso a tale beneficio; ma l’istanza era stata respinta sia dal giudice adìto inizialmente sia da quello chiamato a decidere l’opposizione prevista dall’articolo 170 Dpr 115/2002.
L’avvocato ha quindi presentato ricorso per cassazione, sostenendo che un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in materia di patrocinio a spese dello Stato debba portare a riconoscere il diritto al compenso anche per l’espletamento della sola fase di mediazione obbligatoria, trattandosi di procedimento (di «natura paragiurisdizionale») necessario per l’instaurazione della successiva causa civile.
Nel confermare la decisione del giudice di merito, la Corte suprema osserva, innanzitutto, che l’articolo 74 Dpr 115/2002 «limita l’operatività del patrocinio a spese dello Stato all’ambito del procedimento sia civile che penale», e dunque presuppone «l’intervenuto avvio della lite giudiziale».
Si tratta – prosegue la Cassazione – di limite che non può essere superato dall’attività interpretativa del giudice, giacché altrimenti si inciderebbe sulla sfera relativa alla gestione del denaro pubblico e alle disposizioni di spesa – materia, questa, «riservata al legislatore e presidiata da precisi dettami costituzionali» (sul punto la Corte richiama la propria sentenza 17997/2019) -, e quindi si «sconfinerebbe nella produzione normativa».
Peraltro, la disciplina contenuta nel Dlgs 28/2010, relativa alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, non ha omesso ogni considerazione sul patrocinio a spese dello Stato: infatti, ha espressamente richiamato l’istituto nel comma 5-bis dell’articolo 17, per stabilire che, quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda (o è disposta dal giudice), all’organismo di mediazione non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio in questione. In ogni caso – aggiunge la Cassazione -, il Dlgs 28/2010 ha precisato che dal procedimento di mediazione non possono conseguire oneri economici a carico dello Stato.
Per queste ragioni la Corte ha quindi respinto il ricorso dell’avvocato.