Il Sole 24 Ore – Paola Coppola –
Con l’articolo 27 del Dl Ristori un altro lockdown si è abbattuto sui contribuenti, quello della giustizia tributaria, astretta in un vicolo cieco in cui sono finiti i giudici e le parti a causa dei ritardi della riforma del processo tributario che si ripercuote, malauguratamente, sull’efficienza della macchina organizzativa delle Commissioni.
Con la novella si è previsto che fino alla cessazione degli effetti del nuovo stato emergenziale da Covid-19, i Presidenti delle Commissioni tributarie potranno autorizzare le udienze pubbliche, le camerali e le camere di consiglio con collegamento da remoto «ove le dotazioni informatiche della giustizia tributaria lo consentano e nei limiti delle risorse tecniche e finanziarie disponibili». In alternativa, le udienze «passano in decisione sulla base degli atti» salvo che almeno una delle parti non «insista» per la pubblica udienza con istanza alle altre parti.
E fin qui la novella coglie nel segno, nel senso che offre anche nel secondo periodo di emergenza, la soluzione delle udienze a distanza (per tutti, giudici e parti) e del rinvio se la parte “insiste” per la discussione orale, come già previsto dall’articolo 83 per il rito tributario(e civile) e dagli articoli 84 e 85 del Dl 18/2020 per le altre giurisdizioni nel primo periodo di crisi.
Il punto di rottura sta, però, nel comma 2 dell’articolo 27 per il quale «nonostante si sia chiesta la discussione e non sia possibile procedere mediante collegamento da remoto si procede con la trattazione scritta» con facoltà del difensore di depositare «note scritte di trattazione» nel termine di 10 giorni prima dell’udienza, salvo rinvio a nuovo ruolo ove non possano garantirsi siffatti termini.
In sostanza, nel processo tributario si è deciso di introdurre il “contraddittorio cartolare coatto”, ovvero quello “imposto” contro la volontà delle parti che, per scelta difensiva, intendono far differire la causa pur di potersi confrontare direttamente con il Giudice.
Ma si tratta di una disposizione che contrasta con i principi regolatori del giusto processo (articolo 111, comma 2, della Costituzione), il diritto di difesa (articolo 24) ed i diritti fondamentali di cui all’articolo 6, paragrafo 1 della Cedu, come interpretato dalla Corte di Giustizia, dovendo le parti avere sempre la possibilità di esporre, se lo ritengono, oralmente le loro ragioni, in contraddittorio, e con la garanzia procedurale dell’interlocuzione diretta con il giudice, senza che possano frapporsi ostacoli alla possibilità delle parti di ottenere una revisione, in fatto e diritto, della decisione.