Separarsi davanti a un avvocato con una semplice firma o divorziare con la compilazione di un modulo all’ufficio anagrafe, anche se per molti sembra fantascienza oggi è possibile. Il primo “atto” della recente riforma della giustizia, il d.l. n. 132/2014, entrato in vigore il 13 settembre scorso, ha introdotto, infatti, due nuovi strumenti che rivoluzionano completamente la procedura, con il fine di semplificare e gestire in tempi più brevi l’iter per mettere fine al matrimonio tra due persone o modificare le condizioni (di separazione e divorzio) già fissate in precedenza dal giudice. Il primo strumento è offerto dall’art. 6 del decreto che al comma 1 prevede che i coniugi possano rivolgersi ad un legale per concludere una “convenzione di negoziazione assistita” al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio (nei casi di cui all’art. 3, primo comma, numero 2), lettera b) della l. n. 898/1970), nonché di modifica delle condizioni di separazione e divorzio.
A questo riguardo vi segnaliamo la circolare del Ministero dell’Interno
La convenzione di negoziazione assistita – ovvero l’accordo “mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia” – deve indicare il termine massimo entro cui l’accordo dovrà essere firmato (in ogni caso non inferiore a un mese), l’oggetto della lite, e va redatta, a pena di nullità in forma scritta, e conclusa con l’assistenza di un legale. Gli avvocati certificheranno poi l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale e trasmetteranno, entro dieci giorni, copia dell’accordo (con le relative certificazioni ex art. 5) all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto. In caso di violazione all’obbligo di trasmissione, per il legale è prevista una sanzione amministrativa da 5mila a 50mila euro. A questo punto, l’accordo raggiunto, a seguito della convenzione, produrrà i medesimi effetti di una sentenza giudiziale (ex art. 6, comma 3). Per chi, invece, vuole optare per una procedura fai da te, l’art. 12 consente ai coniugi di recarsi direttamente dinanzi all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza (di entrambi, di uno dei due ovvero del comune presso cui è iscritto o trascritto il matrimonio), per dirsi addio senza l’aiuto di un legale, concludendo “un accordo di separazione personale, ovvero, nei casi di cui all’articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b), della legge 10 dicembre 1970, n. 898, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”. Anche in tal caso il funzionamento è molto semplice: l’ufficiale riceve le dichiarazioni di ciascuna delle parti, secondo le condizioni tra di esse concordate, quindi viene compilato e sottoscritto immediatamente l’accordo che produrrà gli stessi effetti dei provvedimenti giudiziali. La norma, tuttavia, non è ancora operativa: per la sua applicazione bisognerà attendere il trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Entrambe le procedure descritte valgono comunque solo: per chi decide di separarsi o divorziare consensualmente (ovvero con il pieno accordo delle parti su tutti gli aspetti personali e patrimoniali), altrimenti si deve seguire l’iter ordinario in tribunale; per chi non ha figli minori, maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti ovvero figli portatori di handicap grave. Per dirsi addio all’anagrafe, è previsto infine un ulteriore divieto: l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale (nel caso ad esempio della casa familiare, di un’auto, di un conto corrente cointestato, ecc.). In tal caso, l’unica strada possibile è quella della negoziazione assistita davanti al legale o la tradizionale via del tribunale.