«La previdenza? Non è uguale per tutti»

Corriere economia, di Isidoro Trovato –

Lavoro e previdenza (quindi anche welfare) sono due facce della stessa medaglia il cui metallo appare sempre meno prezioso. Più in Italia che in Europa. Nel Vecchio Continente, infatti, malgrado la crisi economica, non ha smesso di aumentare l’occupazione nei settori del terziario. Questo incremento ha riguardato diversi comparti, compreso il lavoro professionale. Contrariamente alla dinamica europea, in Italia il lavoro nel terziario avanzato e nei servizi professionali non è aumentato. Ci fanno compagnia la Spagna e la Grecia che, come noi, vantano già un numero molto alto di professionisti ma anche (e soprattutto) presentano criticità strutturali connesse con la composizione interna della struttura produttiva.
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In un rapporto che l’Adepp (l’Associazione delle casse private) presenta all’Ue, si evidenzia che, nonostante la crisi, l’Italia rimane uno dei Paesi europei con la più alta quota di lavoro professionale (sono 1,5 milioni gli iscritti alle casse di categoria) con o senza dipendenti. Un mondo, però, concentrato in alcuni grandi ambiti – gli affari legali, le professioni di architetto e ingegnere, e anche i medici (500 mila in Italia) – colpiti nei redditi dagli effetti negativi della crisi. Di contro è modesto, comparativamente parlando, il contributo delle professioni intellettuali legate alla ricerca, ma anche al management e ai servizi alle imprese, con ripercussioni negative sull’insieme del terziario avanzato.

Nella dinamiche di politica interna invece è prevista la nuova legge che disciplina il lavoro autonomo, un testo che abilita gli enti di previdenza privata ad attivare, oltre alle prestazioni previdenziali e sanitarie complementari, anche prestazioni sociali per i propri iscritti che versano in condizioni di difficoltà a causa di una consistente (e involontaria) riduzione del reddito professionale oppure a causa di gravi malattie.

Le nuove norme vanno a disciplinare il cosiddetto Job Act del lavoro autonomo rivolgendosi sia alle professioni ordinistiche che ai lavoratori a partita Iva. «Le agevolazioni – afferma Alberto Oliveti, presidente dell’Adepp – sono destinate al lavoro autonomo con un forte impegno dello Stato negli aiuti che si riversa, in particolare, sulle categorie non ordinistiche. Il progetto, tuttavia, presenta un’asimmetria di trattamento fiscale, che ingenera un ulteriore rischio. Infatti, promuovendo e tutelando il lavoro indipendente tout court si diluisce tendenzialmente l’area di autonomia professionale tutelata dagli Ordini».

Però garantire una copertura welfare a tutto il mondo del lavoro autonomo appare corretto e condivisibile. «Certo – ammette Oliveti – ma a ben guardare il welfare dei professionisti iscritti alle Casse non pesa sul bilancio dello Stato mentre quello previsto dal Jobs Act degli autonomi sì. Annullare le differenze di welfare non può comportare un adeguamento automatico fra i diversi standing delle professioni ordinistiche e non ordinistiche».

Sul fronte continentale però l’Europa chiede un mercato unico delle professioni, introducendo la necessità di aprire a un regime di concorrenza. «Rimane la convinzione – continua il presidente Adepp – che le professioni ordinistiche debbano essere tutelate perché agiscono in quegli ambiti che toccano direttamente le tutele costituzionali dei cittadini come la salute, la giustizia e il lavoro. Deve essere difesa la qualità e specificità di queste professioni rispetto a quelle che pur agendo in ambiti analoghi non incidono su questi diritti fondamentali. Le politiche del Single market, la mobilità dei professionisti italiani in Europa, la tutela del futuro dei giovani, il diritto dei cittadini a rivolgersi a professionisti preparati e che adottino la trasparenza nell’offerta delle proprie prestazioni sono per Adepp uno stimolo a cercare il dialogo costante con le istituzioni nazionali e comunitarie».

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