Il Sole 24 Ore – Antonello Cherchi Elena Pasquini – Crescono le domande di secondment, cioè le richieste di “prestito” di avvocati da parte delle aziende. E se la maggioranza degli studi legali lo ritiene un sistema positivo, c’è anche chi vede nel distacco del professionista un’operazione poco vantaggiosa.
A rilevare come le opinioni delle law firm siano contrastanti è l’indagine di inhousecommunity.it per Mag, che ha chiesto a un campione di 13 grandi studi legali attivi in Italia di giudicare il secondment. Fenomeno che in altri Paesi, come il Regno Unito, ha assunto una fisionomia ben precisa, con studi che offrono servizi dedicati e che per lo scopo hanno creato unità interne ad hoc in grado di realizzare ottimi ricavi. In Italia, almeno tra gli intervistati, solo il 15% ha una business unit dedicata al secondment.
La ricerca
Le aziende – e, in particolare, i loro legali in house – sono ben propense verso i secondee, cioè gli avvocati che si chiedono in prestito allo studio legale di fiducia per affrontare aspetti specialistici di un lavoro o per dare una mano nello svolgimento dell’ordinaria amministrazione, magari durante i picchi di attività. E questo spiega perché il 69% delle law firm intervistate registri negli ultimi anni un aumento della domanda.
A essere richiesti sono soprattutto gli avvocati che lavorano nei dipartimenti di banche e finanza, che rappresentano il 32% dei secondee, seguiti da quelli specializzati in fusioni e acquisizioni (29%). Nella maggior parte dei casi a lasciare lo studio per l’azienda – solitamente per un anno (il 79% dei casi) o sei mesi (il 21%) – sono avvocati con lo status di associate (il 70% dei secondee) contro il 18% di praticanti o il 12% di senior associate.
A chiedere il “prestito” sono soprattutto istituzioni bancarie e finanziarie (32% dei casi), a cui seguono le aziende energetiche (17%) e quelle del la moda e del design (12%).
A pagare i secondee provvede, in tre casi su cinque, direttamente la law firm, mentre nel 31% delle situazioni i costi se li accolla l’azienda oppure quest’ultima insieme allo studio (8%). I compensi sono generalmente fissi, determinati in base all’esperienza dell’avvocato che viene “distaccato”.
Punti di vista contrastanti
Il secondment come risorsa: lo vede così il 69% del campione. I motivi sono diversi: permette allo studio di acquisire informazioni più dettagliate sulle dinamiche aziendali e di offrire consulenze più mirate, fidelizza il cliente e può dare vita a nuovi mandati professionali, rappresenta una formazione sul campo per i secondee. C’è, però, l’altra faccia della medaglia. Per i critici (il 31% degli intervistati) il distacco i un professionista non è quasi mai vantaggioso e c’è il rischio che l’avvocato finisca per rimanere in azienda: succede nel 37% dei casi.
Al primo partito appartiene lo studio Simmons & Simmons: il Cfo & Coo, Fabio Lanzillotta, reputa positiva l’esperienza del distacco. Il secondment presso i clienti è costituito «per un 70-75% da risorse junior – spiega Lanzillotta – ma capita anche di selezionare avvocati con una seniority più alta, soprattutto se la richiesta arriva da istituti bancari». Variabile la tempistica: da un trimestre a un anno, così come gli accordi economici (che non coinvolgono mai la risorsa, ma sempre cliente e studio).
Un’altra tipologia di secondment adottata da Simmons è Adaptive: si selezionano e formano professionisti esterni per rispondere a richieste specifiche dei clienti. È, dunque, un servizio di “avvocati on demand”. Lanciato nel 2014, ha raggiunto un giro d’affari di 10 milioni di sterline (circa 11,2 milioni di euro), con una crescita del 200% in quattro anni.
Ha la stessa concezione di “servizio” anche la start up innovativa In2Law, integrata in Deloitte Legal nel luglio 2018. «In quest’ultimo anno abbiamo ricevuto decine di richieste – spiega Marco Pietrabissa, founder e general manager In2Law – alle quali abbiamo risposto fornendo, piuttosto che una figura junior full time, una risorsa senior solo in alcune giornate», puntando su una migliore produttività ed efficienza. La positività dell’iniziativa è data dai numeri: raddoppiati gli “in2lawyers” nell’ultimo anno impiegati presso multinazionali, soprattutto in ambito It, banking e assicurativo. L’obiettivo è superare entro il 2020 i 150 professionisti impiegati.
«Spesso e volentieri sono gli stessi avvocati che chiedono di essere presso il cliente per meglio conoscere le dinamiche interne e i contatti chiave – afferma Lanzillotta -. Un fenomeno in crescita negli ultimi due anni che, abbiamo verificato, si tramuta in crescita di mandati e quindi di ricavi». E permette all’avvocato di strutturarsi per una promozione interna.