L’ingorgo della giustizia civile vent’anni di rivoluzioni mancate

La Repubblica – Affari Finanza – 

Tre milioni, 287 mila 116. Ecco il numero delle cause civili che risultavano pendenti nel primo trimestre di quest’anno, praticamente all’inizio della pandemia che poi avrebbe bloccato quasi del tutto i tribunali. Quel numero dice che un italiano su 18, neonati compresi, oggi ha in atto una lite in sede civile. Rapporto che di civile ha decisamente poco. Ce lo ricorda continuamente la Commissione europea, sottolineando che solo Cipro ha una giustizia civile più lenta e complicata. Con le inevitabili e gravi conseguenze del caso, a cominciare dal formidabile effetto dissuasivo nei confronti degli investimenti esteri. Lo sanno da decenni anche le pietre, e da sempre non c’è stato governo che non abbia promesso di togliere la sabbia dagli ingranaggi. Solo per restare nell’attuale millennio, «una rivoluzione nella giustizia civile», annunciò il ministro della giustizia Piero Fassino nel 2000. Ma poco rivoluzionaria, se nel 2003 il suo successore, il leghista Roberto Castelli, annunciava un’altra e ben più decisiva riforma che «inciderà concretamente sui tempi lunghi della giustizia italiana, contribuendo a smaltire l’enorme arretrato». Arretrato che, per inciso, da allora aumentò di oltre un milione di cause nei successivi sei anni. Tanto che il ministro Clemente Mastella dovette dare pubblicamente ragione al governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, indignato per la situazione della giustizia civile in Italia. Così come Angelino Alfano. Il quale, nel 2008, non esitò a confermarne lo «stato di gravità», mentre il capo dello Stato (e della magistratura) Giorgio Napolitano denunciava: «Attualmente è un ostacolo non da poco agli investimenti esteri». Toccò nel 2013 alla ministra della Giustizia Anna Maria Cancellieri comunicare la decisione di aver deciso «una terapia d’urto», con il decreto «del fare» che secondo il premier dell’epoca Enrico Letta sarebbe stato «rivoluzionario» per la giustizia civile. Mai però come la rivoluzione che aveva in mente Matteo Renzi, e che fece passare in Parlamento con la fiducia. Ma anche in questo caso il termine “rivoluzione” sembrò un tantino ridondante. Il 22 luglio del 2016 l’ufficio parlamentare di bilancio di Giuseppe Pisauro giudicò infatti i miglioramenti introdotti negli anni «parziali e troppo timidi». Formula elegante per dire che fino a quel momento era stata solo una sequenza di flop. Il motivo è presto detto. A dispetto delle promesse, la politica non si è mai davvero impegnata per risolvere il problema. Le cause, ovviamente, sono varie. Le lobby remano contro, le burocrazie pure, gli organici sono ridotti, le strutture fatiscenti, le procedure assurde. E le responsabilità sono anche molto diverse. Ma la verità è che non c’è mai stata la determinazione e la lucidità necessaria: altrimenti dopo tanti anni e innumerevoli promesse non saremmo ancora qui a parlarne. Come sta a dimostrare la storia incredibile che raccontiamo di seguito. Il 7 marzo del 2016 il governo di Matteo Renzi ha appena compiuto due anni e la rivoluzione della giustizia civile non sta evidentemente ancora dispiegando i suoi effetti. Quel giorno il ministro della giustizia Andrea Orlando decide di istituire una commissione, testuale, «per l’elaborazione di ipotesi di organica disciplina e riforma degli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all’arbitrato». Traduzione: sfoltire quanto più possibile il contenzioso che intasa i Tribunali civili. E a chi affida la commissione? A un principe del foro che risponde al nome di Guido Alpa, mentore e socio di studio dell’avvocato Giuseppe Conte, futuro presidente del Consiglio che in quel momento occupa un posto da laico nel consiglio di presidenza della giustizia amministrativa per nomina del M5S: sponsor Alfonso Bonafede, ossia il futuro ministro della Giustizia nel governo Conte. Dopo nove mesi di lavoro a gennaio del 2017 Alpa spedisce a Orlando la relazione con le proposte per tagliare le liti civili. Ma è un momentaccio. Il ministro della Giustizia è impegnato nella battaglia con Renzi per la corsa alla segreteria del Pd ed è forse un po’ distratto. Di sicuro, però, le alte burocrazie ministeriali non fanno salti di gioia a vedersi scavalcate da un Alpa qualsiasi, e certo non hanno alcun interesse a spingere la cosa. Così la relazione finisce in un cassetto. Dove rimane fino allo sbarco di Conte a palazzo Chigi e di Bonafede al ministero di via Arenula. A quel punto logica vorrebbe che saltasse subito fuori. Invece no. Nemmeno con l’arrivo del ministro a Cinque stelle, che ha spinto il socio di Alpa prima a Palazzo Spada e poi a Palazzo Chigi, il documento viene riesumato. Anzi, in previsione c’è pure un bello schiaffone per il principe del foro. Il 23 dicembre 2019 Bonafede istituisce per decreto un’altra commissione, battezzata “Tavolo tecnico sulle procedure stragiudiziali in ambito civile e commerciale”. Un comunicato del ministero spiega che “si tratta di un tavolo che nasce per una ricognizione approfondita e sistematica delle procedure stragiudiziali esistenti con l’obiettivo di ridurre il contenzioso giudiziario e potenziare l’accesso alla giustizia per tutti i cittadini”. Le parole sono un po’ diverse, ma il succo non cambia: è di fatto lo stesso lavoro che era stato affidato da Orlando a Guido Alpa. Stavolta presidente della nuova commissione è un consigliere del ministro, l’avvocato Pietro Gancitano. E i lavori sono materialmente coordinati da Paola Lucarelli, professoressa di diritto commerciale all’università di Firenze, la stessa dove ha studiato Gancitano. Si parte il 21 gennaio 2020 e il primo atto del cosiddetto “Tavolo” è la pubblicazione del “Manifesto della Giustizia complementare alla giurisdizione”. Nel frattempo siamo però giunti al 28 marzo, il coronavirus impazza con l’Italia in pieno lockdown. I componenti del “Tavolo” chiedono allora una proroga della scadenza, prevista per la fine di giugno. Ma da quell’orecchio l’ufficio legislativo del ministero non ci sente. E anche questo tentativo naufraga nelle secche della burocrazia ministeriale, mentre del ministro si perdono le tracce. Agli atti resta l’ennesima relazione e una interrogazione parlamentare presentata in Senato da Donatella Conzatti, commercialista eletta con Forza Italia e poi passata a Italia viva. Oltre, naturalmente, ad altri quattro anni (e un po’ di soldi pubblici) buttati via. GETTY, FONTE MINISTERO DELLA GIUSTIZIA – DIPARTIMENTO DELL’ORGANIZZAZIONE GIUDIZIARIA, DEL PERSONALE E DI SERVIZI – DIREZIONE GENERALE DI STATISTICA E ANALISI ORGANIZZATIVA
I numeri le cause civili pendenti dati nazionali comprensivi di tutti gli uffici, dal 2003 al 2020340 MILA Solo in Tribunale giacciono oltre 340 mila cause arretrate da più di tre anni
54% IN CASSAZIONE Il peso della materia tributaria sull’arretrato in Cassazione è di circa il 54%

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