Il Sole 24 Ore, di Donatella Stasio –
Non è un Orlando furioso quello che atterra sull’isola di Pianosa a fine mattinata.È un Orlando stanco, tirato, molto preoccupato per il muro alzato lunedì sera da Matteo Renzi di fronte alla richiesta di fiducia sulla riforma del processo penale. Maè ancora determinato a non farsi mettere nell’angolo. In serata lo aspetta un altro Consiglio dei ministri. Consiglio dei ministri che,a notte fonda, ha poi autorizzato l’uso della fiducia sul Ddl anche se Renzi ha dichiarato di avere ancora molte perplessità sulla blindatura del Ddl. Ministro, stavolta riuscirà a convincere il premier? «Io non devo convincere nessuno. Voglio solo concordare un percorso». L’espressione del viso tradisce «scoramento», per dirla con una parola che gli sfugge nella piazzetta tra l’antica Barriera Vittorio Emanuele e il fatiscente muro di cinta dell’ex carcere di sicurezza di Pianosa. Si parla di «reinserimento sociale dei detenuti»e quest’isola, dove «anche la bellezza del luogo può essere occasione di riscatto», diventa metafora delle difficoltà in cui naviga il ministro della Giustizia. «La situazione è complicata» ammette Orlando, seduto a un tavolino dell’unico bar dell’isola, prima di ripartire per Roma. «Ieri sera (lunedì, ndr) è prevalsa la paura di possibili scherzi nella maggioranza. Stavolta, infatti, i voti dei verdiniani, cioè di Ala, non ci sono,e quelli della maggioranza sono risicati, quindi Renzi vuole che siano verificati uno ad uno per evitare trappole. Bastano poche assenze e purtroppo il gioco è fatto. Bisogna capire se convenga andare avanti articolo per articolo e, semmai, intervenire con la fiducia sui punti critici». Questa, ribadisce,è sempre stata la sua linea.A chiedere la fiducia «è stato Alfano. E oggi la riproporrà», aggiunge, sapendo che senza fiducia il Ddl rischia il binario morto, almeno fino al referendum. «Paura», «trappole», «diffidenza»: sono queste le parole chiave della ricostruzione di Orlando sul no di Renzi alla fiducia. A due mesi dal referendum costituzionale, il premier «non vuole rischiare» di far cadere il governo su una riforma che suscita «diffidenze reciproche nella maggioranza»e «malumori» trasversali. «È vero, anche nel Pd è passata l’idea che questo sia un provvedimento giustizialista ma ragiona Orlando solo perché c’è stato un eccessivo protagonismo di Cassone di Lumia», rispettivamente relatore e capogruppo Dem in commissione Giustizia, che hanno presentato emendamenti indigesti: il primo sullo stop della prescrizione dopo la condanna di primo grado e, il secondo, sull’allungamento da 3 a 6 mesi del tempo entro cui il Pm deve chiedere il rinvio a giudizio dopo la chiusura delle indagini. «La verità, però, è che rispetto alla Camera, il Senato ha indebolito le norme sulla prescrizione». Orlando conviene, tuttavia, che l’impasse ha motivazioni politiche, e non di merito. Esclude, però, che il premier punti a ritirare la riforma o a congelarla fino al referendum. «Se Renzi voleva fermarsi, aveva la possibilità di farlo, invece non ho avuto input in tal senso». Così come esclude che i dubbi del premier sulla fiducia fossero conseguenza dell’accelerazione impressa a luglio al Ddl, proprio su impulso di Orlando, o, addirittura, di attriti politici personali. «Non sono in grado di dare ulteriori letture» taglia corto.E insiste: «Si tratta solo di cautela. Il Pd non si fida dell’Ncd e l’Ncd non si fida della minoranza Pd». Perciò si ha «paura» della fiducia. «Personalmente, eroe sono favorevole ad andare avanti articolo per articolo. Questo è sempre stato il mio piano A, salvo però ricorrere alla fiducia sui punti cruciali. Ma i capigruppo mi hanno risposto che non erano in grado di garantire questo percorso, troppo rischioso con 170 voti segreti». Così, mentre da Roma già soffia il vento dello slittamento di una settimana, Orlando si prepara a un’altra battaglia «per costruire ponti». Come sul carcere, tra il “dentro” e il “fuori”, e come Pianosa gli dimostra che è giusto fare.