La Repubblica – Affari Finanza – Fabio Bogo
Alla vigilia delle elezioni è scattata la tradizionale corsa al consenso. Si promette la cancellazione dell’allungamento dell’età pensionabile, si torna a rilanciare l’abolizione della tassa di successione, si ribadisce la necessità di abolire il fiscal compact, si insiste sul reddito di cittadinanza. Tutte misure, nelle motivazioni di chi le propone, capaci di imprimere una svolta all’economia. Nessuno però sembra occuparsi dei tempi della giustizia, amministrativa e civile, che rappresenta un peso non indifferente per la crescita del Paese. Nonostante sia intervenuta una riforma che aveva come scopo, con l’accorpamento delle sedi giudiziarie, proprio l’accorciamento dei tempi dei processi, la situazione è ancora sconfortante. Nel 2016 – secondo una recente analisi della Banca d’Italia – la durata media effettiva nei tribunali era di 1.100 giorni per il contenzioso ordinario e di 1.250 per quello commerciale, con differenze sensibili sul territorio che penalizzano ulteriormente il Sud, dove la durata dei processi è mediamente del 40 per cento superiore a quella del resto del Paese. In cifre, ecco la durata media dei procedimenti: 3 anni per il contenzioso ordinario; 3,4 per quello commerciale; 1,5 per lavoro e previdenza; 7,6 per i fallimenti; 4,2 per le esecuzioni immobiliari e sette mesi per quelle mobiliari. Numeri vieppiù impietosi se confrontati con quelli internazionali. Il rapporto Doing Business della Banca Mondiale, che analizza la tempistica della risoluzione delle dispute commerciali, vede infatti l’Italia al penultimo posto nella classifica Ocse: peggio di noi fa solo la Grecia. Anche qui parlano i numeri: 850 giorni per l’Italia, 409 in Germania, 367 in Portogallo, 335 per la Francia, 330 in Spagna. Questo macigno, secondo Bankitalia, inceppa gravemente il funzionamento dell’economia. Una giustizia efficiente rimuove infatti gli ostacoli all’ingresso di nuove imprese su mercato e migliora l’accesso al credito, permettendo a nuovi attori di affacciarsi sulla scena anzichè perpetuare la presenza di quelli meno efficienti ma ritenuti più affidabili in quanto più anziani. Poi permette, nel campo del diritto fallimentare, di risolvere presto i contenziosi e aiutare un rapido reimpiego delle imprese in crisi. L’inefficienza della giustizia insomma ha un costo pesante. Non solo rallenta i tempi di consegna dei lavori pubblici e pesa sulle condizioni di finanziamento delle aziende, ma contribuisce al nanismo del sistema: la sola riduzione del 50 per cento della durata delle procedure civili accrescerebbe le dimensioni medie delle imprese manifatturiere di circa il 10 per cento. Alla faccia di tante altre ricette.