Corriere della Sera – Gian Antonio Stella
E l’avvocato chi lo paga? Una sentenza della settimana scorsa a Torino ripropone sempre lo stesso tema: perché un cronista querelato a capocchia deve pagare coi soldi propri il difensore che ha dovuto nominare anche se poi il giudice gli dà ragione? Breve riassunto. Silvia Mazza, giornalista specializzata sui temi culturali, pubblica nel 2016 su Il Giornale dell’arte edito da Umberto Allemandi un pezzo critico sulla decisione della soprintendente di Siracusa Rosalba Panvini (successivamente coinvolta nelle polemiche sull’orrida costruzione d’un bar-caffetteria-ristorante nella Piazza d’Armi dello splendido Castello Maniace) di consentire il trasloco temporaneo dell’«Annunciazione» di Antonello da Messina custodita a Siracusa. Destinazione: una mostra nella chiesa dell’Annunziata di Palazzolo Acreide, dove l’opera era stata realizzata ed era rimasta prima d’esser comprata dallo Stato. Un errore, per Silvia Mazza, trattandosi di «un’opera di estrema delicatezza conservativa spostata per un progetto culturale assai debole e in obbedienza a pretese campanilistiche del territorio». Pretese che, «se fossero ascoltate anche altrove (…) potrebbero svuotare (seppur temporaneamente) i musei di mezzo Paese». Di più: «il dipinto meno di due anni fa era stato trasferito al Mart di Rovereto»: non era il caso di imporgli nuovi traumi. Giusto? Sbagliato? La Panvini aveva preso la critica come «diffamatoria e gravemente lesiva della (sua) reputazione (…) trasbordando in gratuite aggressioni verbali e insinuazioni oltremodo offensive». No, ha scritto nell’ordinanza d’archiviazione il giudice Francesca Firrao, ritenendo «che le espressioni utilizzate non siano di per sé offensive e denigratorie, sebbene si sia trattato di un’aspra critica all’operato della parte offesa» e che «a fronte della verità dell’evento storico, tutti gli altri apprezzamenti (o critiche) svolti dall’articolista sono espressione del diritto di libera manifestazione del proprio pensiero nell’accezione del diritto di critica». E torniamo al tema: l’archiviazione dimostra quanto la querela fosse così infondata da non meritare neppure un processo. Allora perché, in casi così, chi fa perdere tempo ai giudici e al querelato non viene condannato a pagare tutte le spese per fargli passar la voglia la prossima volta? Perché troppi politici, di destra e sinistra, leghisti o grillini, non hanno intenzione di cambiare la legge. È così comodo poter intimidire un giornalista e non pagare pegno…