Editoriale di Ester Perifano, segretario generale ANF, per Guida al Diritto
Con i regolamenti sulle specializzazioni forensi e la difesa d’ufficio si è finalmente messa in moto la macchina ministeriale per l’approvazione delle norme regolamentari attuative, che potrebbero, finalmente, consentire di vedere con nitidezza la fotografia della riforma professionale. Che, ad oggi, risulta ancora molto sfocata, in tutti i suoi contorni. Su questi primi due provvedimenti, che hanno avuto il via libera dal Ministro Orlando, tuttavia, è del tutto evidente la necessità di ulteriori approfondimenti: tra luci e ombre, quanto meno, scontano un eccesso di burocrazia che mal si concilia con la richiesta di efficienza che proviene dall’esterno. Ma partiamo con le note positive della bozza di D.Lgvo per il riordino della disciplina della difesa d’ufficio.Due sono i problemi di fondo che lo schema in oggetto si propone di risolvere: la qualità del difensore che si iscrive nelle liste e la sua competenza. Attualmente possono essere inseriti nell’elenco dei pubblici patrocinatori sia coloro che, allegando un contenuto numero di verbali di udienza, danno prova di aver esercitato la professione per un biennio in materia penale, sia i partecipanti al corso che i vari Consigli dell’Ordine, anche d’intesa con le Camere Penali, organizzano sul territorio. Ora, con il nuovo testo, in linea con la richiesta sempre più incalzante di maggiore qualità, viene espressamente previsto un vero e proprio un esame finale che diventa, sostanzialmente, abilitante al pubblico patrocinio. Anche gli altri requisiti richiesti in alternativa per l’inserimento nell’elenco sono più stringenti, in quanto occorre avere ben cinque anni di esperienza penale documentata oppure aver conseguito il titolo di specialista ai sensi dell’art. 9 della nuova legge professionale. In buona sostanza, è facilmente prevedibile un considerevole dimagrimento degli elenchi dei difensori di ufficio, poiché ne verranno assai ragionevolmente esclusi coloro i quali, pur non avendo dimestichezza con il penale, vi si cimentavano comunque, anche al fine di accumulare esperienza e qualche compenso, mettendo, però, con ciò a rischio la libertà personale dei meno abbienti. Altro aspetto positivo sarà, probabilmente, la effettività della difesa garantita dallo Stato. Attualmente il magistrato sostituisce il difensore di ufficio, che può essere assente (succede spesso), con un altro di ufficio immediatamente reperibile e costui senza conoscere il processo può essere chiamato persino a discutere la causa. La difesa, quindi, è di fatto inesistente e ci sono state sentenze della Corte di Giustizia Europea che hanno condannato l’Italia per l’uso sistematico della difesa di ufficio ai sensi dell’art. 97 comma 4 c.p.p. Nella normativa vi sono, ancora, altri spunti interessanti relativi agli obblighi che i difensori di ufficio dovranno rispettare: dall’elenco non ci si potrà cancellare prima di un biennio, la sostituzione sarà possibile solo per legittimo impedimento o per trasmissione ad altro giudice competente territorialmente, l’eventuale sostituto processuale dovrà essere anch’egli un difensore di ufficio iscritto nelle liste. Non convince, invece, l’ eccesso di burocratizzazione prevista dal testo. L’avvocato iscritto nell’elenco dei difensori d’ufficio dovrà ogni anno produrre al Consiglio dell’Ordine la documentazione volta a dimostrare la permanenza dei criteri necessari per l’iscrizione nella lista. Tali documenti dovranno essere trasmessi con una relazione dal Consiglio dell’Ordine al Consiglio Nazionale Forense, con il che si realizzerà una eccessiva e inutile attività sia a carico degli Ordini Circondariali che del CNF. Sarebbe, quindi, più opportuno che il controllo sulla permanenza dei requisiti rimanesse in sede locale e venisse effettuato dall’ordine circondariale. Piuttosto singolare, poi, è la previsione che i criteri generali per l’indicazione dei difensori d’ufficio vengano fissati con cadenza annuale dal CNF . Sarebbe più che opportuno che vengano indicati una volta per tutte e modificati solo in caso di effettiva necessità. Passando alle specializzazioni forensi, è appena il caso di precisare che la loro regolamentazione è di grande interesse non solo per gli avvocati che aderiscono alle associazioni specialistiche, ma anche per tutti gli altri. Anzi, molto di più per questi ultimi, che hanno un indubbio interesse ad acquisire un titolo da spendere validamente sul “mercato”. La prima, generale riflessione è collegata al fatto che da tempo l’AGCM è molto attenta alle attività delle istituzioni ordinistiche e violazioni così palesi, come sembrano esservi nel regolamento in oggetto, non faranno altro che sollecitare l’intervento dell’Autorità. D’altronde questo è un problema che riguarda innanzi tutto il Ministero della Giustizia, nei cui confronti l’AGCM ha poteri di intervento diretto. Nel merito del regolamento, in attesa di ulteriore opportuno approfondimento, solo qualche riflessione. La previsione di un ‘colloquio’ presso il CNF per valutare la comprovata esperienza, nel caso non si seguisse il binario del corso di 200 ore, sembrerebbe un chiarissimo eccesso di delega: non rientra nelle competenze del Consiglio Nazionale stabilire con un esame/colloquio se un avvocato sia più o meno esperto. Basta, come prescrive l’art.9, l.247/2012 aver maturato “una anzianità di iscrizione all’albo degli avvocati, ininterrottamente e senza sospensioni, di almeno 8 anni” e dimostrare “ di aver esercitato in modo assiduo, prevalente e continuativo attività professionale in uno dei settori di specializzazione negli ultimi cinque anni”. Evidentemente, basta una adeguata documentazione che, come il percorso specializzante presso le Università, dovrà successivamente solo essere valutata dal CNF, ma sempre e solo su base documentale, tenendo conto dei criteri chiaramente indicati nella 247/2012. Anche con riferimento all’elevatissimo numero di incarichi richiesti per poter acquisire sul campo il titolo di “specialista”, la previsione regolamentare, oltre a non essere adeguatamente motivata, è del tutto scollegata dalla realtà . Intanto occorrerebbe chiarire che cosa si intende per “area” e poi, a seconda di aree ampie o aree ristrette, calibrare i numeri, che non possono essere omogenei: alcune materie, ad esempio il diritto del lavoro e della previdenza sociale, potrebbero anche prestarsi a serialità consistenti. Ma in altre aree, ad esempio nell’ambito del diritto di famiglia, è del tutto improbabile ( se non impossibile) che si verifichino le condizioni prescritte. E’ un dato a tutti noto che le specializzazioni effettive , per definizione, sono relative a settori di nicchia. Non è difficile cogliere la differenza numerica tra gli avvocati che discutono cause di diritto internazionale o dibattono di legislazione inerente l’ambiente e quelli che sono impegnati ogni giorno sul civile. Anche la tabella che individua le aree di specializzazione e i conseguenti ambiti di competenza sembra piuttosto approssimativa. Da una parte mancano settori importanti ( la giurisdizione innanzi alla Corte dei Conti o i giudizi arbitrali) dall’altra vi sono aggregazioni singolari: ad esempio, gli specialisti in diritto delle persone e della famiglia avrebbero nella propria area di competenza le successioni e il diritto delle fondazioni. O anche gli avvocati specialisti in condominio e locazioni, potranno spendere anche il diritto agrario tra le proprie aree di competenza. In definitiva, accanto all’apprezzamento per il Ministro Orlando per aver finalmente messo in moto la macchina che si occuperà della predisposizione dei regolamenti attuativi della riforma forense, occorre però raccomandare estrema attenzione nell’approvazione delle norme attuative. Diversamente, il rischio è di chiudere, inutilmente e rovinosamente, un sistema che già ora si fonda su equilibri fragilissimi.
Ester Perifano – segretario generale Associazione Nazionale Forense
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