Sulla vicenda elettorale degli ordini circondariali forensi è calato il silenzio.
La penultima notizia risale al mese di aprile, cioè all’udienza alla discussione dei ricorsi elettorali dinanzi al Consiglio Nazionale Forense della quale rimarrà memorabile l’applicazione dell’istituto dell’astensione da parte del presidente secondo il quale il giudice che si astiene può condurre e partecipare all’udienza e firmare il relativo provvedimento.
L’ultima notizia è quella della pubblicazione (in data 14.4.2016), ad oggi, dell’unica pronuncia del CNF in materia (la n. 89/2016) con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
L’ultimissima è quella dell’affermazione rubata tra i vicoli di Roma secondo cui “i ricorrenti non hanno avuto fortuna”, avendo peraltro – molti di loro – depositato il ricorso presso il CNF e non presso il COA di appartenenza.
La motivazione contenuta nella decisione 89/2016 nota è stringata ed è possibile riportarla integralmente: “Il ricorso appare inammissibile. Il reclamo infatti è stato presentato direttamente al Consiglio Nazionale Forense (a mezzo PEC) e non all’ordine territoriale, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di…, come prescritto dall’art. 59 RD 37/1934 e costantemente affermato dalla giurisprudenza di questo CNF (ex plurimis, decisioni n. 32 del 2.3.2012, n. 25 del 20.2.2012, n. 188 del 15.11.2011, n. 8 del 16.3.2010), la previsione dell’art. 59 RD 37/1934 appare peraltro confermata dall’art. 13 comma 4 del d. lgs. 96/2001 che disciplina la materia in esame, non derogando alla norma primaria più volte indicata. PQM”.
Qualche incongruenza nella motivazione dell’unica decisione nota balza subito agli occhi.
Innanzitutto, i precedenti richiamati (anteriori all’entrata in vigore della L. 247/12) non riguardano questioni elettorali ma esclusivamente procedimenti disciplinari e procedimenti amministrativi di tenuta albo; inoltre il riferimento al D. Lgs. 96/01 è del tutto inconferente rispetto alla materia elettorale avendo viceversa ad oggetto la disciplina degli avvocati stabiliti (e quindi il procedimento amministrativo di tenuta degli albi).
Ci si saremmo aspettati quindi la ricostruzione logico-giuridica che ha indotto il Consiglio Nazionale Forense a dare per scontata un’identità di disciplina e di procedimento a prescindere dalla materia: che si verta in materia elettorale, disciplinare o di tenuta albi – questa è la conclusione cui perviene il CNF senza spiegarne il perché – si applica l’art. 59 RD 27/1934.
Una motivazione un po’ meno sciatta e diretta a giustificare un pur legittimo revirement di orientamento interpretativo forse poteva essere dettata anche da diverse ed evidenti ragioni, di diritto e di opportunità.
La prima è che vi è consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità e del CNF secondo la quale, in materia elettorale, il reclamo è depositato presso il Consiglio Nazionale Forense.
Sicuramente note sono la pronuncia del CNF del 15.1.2009 nella quale è affermato il principio secondo cui mentre il ricorso in materia elettorale e di tenuta albi deve essere depositato presso il Consiglio dell’Ordine, il reclamo in materia elettorale deve essere invece presentato nella segreteria del Consiglio Nazionale Forense, la pronuncia di identico tenore n. 99/94, la n. 16/2010 (in cui si richiama la prevalente giurisprudenza della corte di legittimità e del CNF in tal senso “…dalla quale non v’è ragione di discostarsi…”), la n. 157/2012 (nella quale si dà atto del corretto deposito del reclamo elettorale presso la segreteria del CNF).
Sullo sfondo vi è anche la sentenza dei giudici di piazza Cavour n. 9069 del 2003 che, in un caso di impugnazione di risultati elettorali (e non di procedimento disciplinare o amministrativo), ripercorrendo storicamente l’evoluzione dell’ordinamento professionale forense, ha affermato che “il contenzioso elettorale, dunque, oggi è un contenzioso giurisdizionale, nel quale non vale la regola, propria dei procedimenti amministrativi, del deposito dei reclami e dei ricorsi nell’ufficio dell’autorità che ha emanato l’atto reclamato o impugnato, ma quella che le impugnazioni, che si propongono mediante ricorso, presuppongono il deposito del ricorso nell’ufficio del giudice davanti al quale essa sarà esaminata” e che il conseguente corollario è che “…nella materia elettorale non trova spazio l’art. 59 del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, secondo il quale il ricorso alla Commissione centrale è presentato negli uffici del direttorio che ha emesso la pronuncia”.
Anche ragioni di opportunità, oltre che di diritto, potevano suggerire una motivazione meglio articolata.
Si tratta del primo contenzioso elettorale dopo l’entrata in vigore della legge ordinamentale n. 247 del 31 dicembre 2012.
Si tratta di un contenzioso elevato nel numero di ricorsi e che segue l’annullamento del decreto ministeriale attuativo dell’art. 28 L 247/12 in materia di elezione dei componenti consiglio degli ordini circondariali forensi.
Ci tocca aspettare le altre decisioni del 2016 per vedere se vi saranno duplicazioni della motivazione 89/2016, ma qualcosa non torna.
Anche sul piano politico, quanto agli accadimenti successivi all’annullamento del decreto ministeriale elettorale, il comportamento del CNF è strano, se non proprio ambiguo. Pubblicamente si definisce giudice terzo ed imparziale e si dichiara estraneo alle vicende dirette a ripristinare le regole di funzionamento dei COA e alla soluzione normativa formulata dal Ministro della Giustizia ma al tempo stesso, privatamente e all’interno del palazzo di via Arenula, opera, dialoga col Guardasigilli propugnando soluzioni che tardano ad arrivare, nel metodo e nel merito.
Sempre pubblicamente, poi, il CNF denuncia costantemente il perdurante attacco al sistema ordinistico e al ruolo dell’Avvocatura nel paese ma, in casa nostra, come giudice e come interlocutore con la politica, non contribuisce in alcun modo alla certezza e al rispetto delle regole elettorali forensi e non rivendica ad alta voce la necessità che ordini grandi come Napoli e Roma vadano urgentemente al voto non potendo più operare in regime di prorogatio.
L’auspicio è che la vicenda elettorale e le decisioni dei ricorsi pendenti dinanzi al CNF non siano utilizzate strumentalmente a seconda dell’esigenze di un ricorrente rispetto ad un COA e viceversa. Nessuno dimentica – si sa, la giustizia in Italia è lenta – che una vicenda elettorale fu decisa (favorevolmente per il ricorrente) a pochi giorni dal rinnovo naturale dei componenti del COA e dopo che quest’ultimo aveva regolarmente portato a termine la legislatura nonostante il ricorso elettorale pendente (di fatto reso inutile).
In questo contesto, bisogna prendere atto che in molti dei protagonisti non vi sia la priorità di definire una volta per tutte la vicenda.
Gli stessi COA interessati da un ricorso o dal mancato rinnovo dei loro componenti non fanno la voce grossa, non reclamano l’urgenza di regole certe che garantiscano il loro corretto funzionamento, spendendosi viceversa in giochi di ruolo fumosi.
E il Ministro non é esente da responsabilità. Dopo aver annunciato più volte un intervento sulla norma primaria, il silenzio sui tempi e sulla modalità è oramai una costante. Tutte le sentenze rese dal TAR Lazio non sono state impugnate dal Ministero, mentre l’unico ricorso pendente dinanzi al Consiglio di Stato ha incontrato, per due successive udienze, l’impossibilità di costituire il collegio giudicante per incompatibilità.
Non c’è da stupirsi se il panorama complessivo lascia intravedere la reale soluzione dell’impasse elettorale in prossimità del naturale rinnovo, a fine 2018, dei componenti dei COA d’Italia, con buona pace e soddisfazione di tutti, del CNF, del Ministro, dei COA eletti, di quelli non eletti e di quelli esclusi.
Le regole valgono per tutti. Non per gli avvocati, non tra gli avvocati. Una miserevole vergogna.
Luigi Pansini – Segretario generale A.N.F.
(articolo per “Realtà Forense”, bimestrale del Foro di Bari, in corso di stampa)