La statistica ci informa che in Europa, nel breve arco di tempo 2008–2012, i liberi professionisti sono passati da 4,6 a 5,2 milioni di unità.
Per l’Italia il volume d’affari annuale è stimato in circa 200 miliardi di euro: in pratica il 15,1% del pil.
I professionisti attivi sono più di 2 milioni, di cui quasi 500mila operano nell’area economico- sociale- giuridica. La metà di questi ultimi sono avvocati: 240.000 nel 2014. Altri due milioni di lavoratori sono occupati nell’indotto: dipendenti diretti, collaboratori, impiantistica, servizi vari etc..
Nell’insieme, un bacino occupazionale di 4 milioni di addetti: il 15% circa del totale della forza lavoro.
Una importante realtà economica, quindi, che l’Unione Europea da tempo colloca nell’ambito della piccola e media impresa e per la quale, passando senza scorciatoie “dalle parole ai fatti”, ha messo a disposizione risorse importanti (i c.d. “fondi strutturali” per il periodo 2014- 2020).
Si può pertanto parlare di un vero e proprio “mercato”, delle cui caratteristiche discuterà il nostro VII Congresso, affrontando il tema della giurisdizione e dello stato di diritto nel terzo millennio.
La causa è ancora il mezzo sovrano per riparare, nell’interesse superiore dello Stato, al vulnus inferto dal comportamento illegittimo o si sta trasformando in uno dei tanti mezzi per risolvere un problema particolare e soddisfare così soltanto l’interesse, magari spiccatamente economico, del singolo?
Vince l’interesse a che le cose vadano secondo la previsione astratta del diritto o quello del singolo alla soluzione (onorevole e pragmatica) del problema specifico nel più breve tempo possibile?
Di certo, gli avvocati sono chiamati a dare una risposta: cosa offriamo a questo mercato? Quali servizi, quali strumenti, quali strutture, quale organizzazione?
Arretratezze culturali e temi scottanti
Il nostro paese sconta ancora arretratezze culturali e normative.
E’ di qualche mese fa e fa discutere, anche in giudizio, la pesante sanzione inflitta dall’Autorità per la Concorrenza al CNF in materia di tariffe e pubblicità, mentre, più recentemente, il Consiglio di Stato ha riammesso i professionisti alla cassa integrazione in deroga, dalla quale erano stati in un primo momento esclusi.
In entrambi i casi il tema centrale è la affermata/negata equivalenza professionisti/ PMI.
E’ quindi il momento di approcciare senza pregiudizi il tema delle “imprese professionali” e della organizzazione di cui ci si deve dotare per un più alto livello di efficienza e di redditività del servizio, nel rispetto del ruolo costituzionale della difesa e della estrema particolarità e delicatezza della materia che trattiamo.
Laicamente e con onesta franchezza, occorre confrontarsi in modo più agile, strutturato e sistematico con concetti quali impresa, progetto, strategia, organizzazione, investimenti, bilancio, pubblicità e marketing, redditività, concorrenza, liberalizzazioni, joint- venture, sinergie, network, business plan e così via.
Cassa Forense, in questo senso, ha mosso un primo passo e, nel nuovo regolamento per l’assistenza, ha inserito una specifica sezione dedicata al sostegno della professione.
Sull’evidente presupposto che per avviare un’attività professionale ovvero per riorganizzarla e rilanciarla secondo le richieste del mercato occorre un progetto, che a sua volta presuppone una strategia (di fatto) imprenditoriale, l’art. 14 prevede prestazioni in favore di tutti gli iscritti per convenzioni e crediti agevolati, nonché prestazioni specifiche per i giovani in start up, con particolare attenzione alla costituzione di nuovi studi associati o società tra professionisti, compresi quelli multidisciplinari.
L’art. 22, inoltre, destina specifiche risorse al cofinanziamento di progetti meritevoli in materia di welfare presentati dai C.O.A. e/o dalle Associazioni Forensi o finalizzati alla partecipazione a bandi comunitari, nazionali o regionali.
Il processo civile telematico, a sua volta, stravolge in radice le forme organizzative dello studio. Sfuma la tradizionale figura della segretaria. Si ridimensionano i “giri” in cancelleria (e, con essi, quel tessuto di rapporti con il personale amministrativo che tanto radicava l’avvocato al territorio). Si marginalizza l’attività di domiciliazione.
Si impone, viceversa, il tema degli impianti tecnologici e del tecnico-informatico: server, sito, gestionale, redattore, archivio telematico, pec, firma digitale, fatturazione elettronica e quant’altro richiedono strutture (in primis, locali adeguati e predisposti), hardware e programmi software in costante aggiornamento ed implementazione, un controllo ininterrotto “h. 24”, 7 giorni su 7, per 52 settimane e, quindi, personale specializzato, dedicato e ben organizzato.
Il cliente lo si “riceve” in videoconferenza ed il pdf è la forma più consueta di atti e documenti, una volta cartacei.
Sullo sfondo, la questione, non più eludibile, delle specializzazioni.
Ad oltre due anni dalla riforma, il regolamento ministeriale (art. 9) ancora non c’è, ma il dibattito è acceso sia sulle concrete modalità attraverso le quali arrivare al titolo di specialista, sia, più in generale, sulla sorte dell’avvocato generalista con studio individuale.
Ci si chiede, cioè, se la professione debba imboccare un percorso simile a quello dei medici: un servizio di base, diffuso e ramificato sul territorio, attento alle esigenze più ricorrenti e quotidiane, più facilmente accessibile ed economico ovvero una struttura articolata su diverse competenze, tarate sulle esigenze della fascia di clientela alla quale si è deciso di rivolgersi? O, magari, una “boutique” del diritto, super specializzata, punto di riferimento, non necessariamente nazionale, solo e soltanto per una qualche particolarissima questione?
Grandi studi con molti professionisti, tutti super specializzati o ciascuno competente su materie diverse per offrire al cliente un servizio completo? Studi medi organizzati in network? Strutture di base comuni ad una rosa diversificata di professionisti? Quali i modelli più adeguati per le singole “fasce di mercato”?
Con le spalle al muro
Ma è la stretta attualità che ci mette, ancora una volta, con le spalle al muro.
E’ di questi giorni, infatti, il disegno di legge sulle liberalizzazioni e sulla concorrenza con il quale il Governo intende mettere mano all’esercizio della professione in forma societaria.
Con gli art. 4 e 5 della legge del 2012 si era di fatto sottratta l’avvocatura al regime comune delle altre professioni di cui alla l. n. 183/ 2011.
L’art. 5 conferiva al Governo la delega ad emanare, entro sei mesi, un decreto legislativo vincolato al rispetto dei principi e dei criteri direttivi di cui al comma 2: in primis, il divieto del socio di capitale e del socio professionista non avvocato.
In sostanza, una netta chiusura verso il mondo delle imprese e verso gli altri professionisti.
“Tuttavia l’Esecutivo non ha esercitato nei termini tale delega, verosimilmente al fine di non creare una disciplina derogatoria e speciale, rispetto a quella generale dettata per le società tra professionisti, applicabile alle sole società tra avvocati …” che “… avrebbe potuto ingenerare dei dubbi di compatibilità comunitaria …” (così il Sottosegretario dott. Ferri in occasione dell’evento ANF sul tema del 31.01.2014).
Nello stesso senso, il Congresso di Venezia, su iniziativa di ANF, ha approvato una mozione (la n. 74), con la quale si è osservato che l’esclusione delle altre professioni e del capitale non mette di per sé al riparo dal rischio di condizionamenti dell’autonomia e dell’indipendenza necessarie per lo svolgimento della professione; che la società tra soli avvocati finisce per portare avanti discriminazioni inattuali e negative per la categoria, riducendone l’ambito operativo ed escludendola da potenziali sviluppi e sinergie con le altre professioni, le quali, al contrario, possono già interagire nel perseguimento di comuni interessi; che in Europa il professionista è già una “impresa”, qualificata come professionale per contrapporla a quelle commerciali ed industriali.
Su tali premesse la mozione ha pertanto chiesto:
“CHE all’Avvocatura sia consentito di competere con le altre professioni anche sotto il profilo dei modi di esercizio della professione (in forma singola o in forma associata) e siano consentite forme di aggregazione societaria multidisciplinari, nel presupposto che solo una migliore e più efficace organizzazione del lavoro potrà consentire che la professione forense si evolva verso la modernità e agli avvocati di superare meglio la grave crisi che attraversano;
CHE sia stabilito se tale obbiettivo dovrà essere raggiunto riportando la disciplina delle società tra avvocati e multidisciplinari con la partecipazione di avvocati nell’alveo della disciplina comune agli altri professionisti (L. 183/2011 e DM 34/2013), oppure ipotizzando una normativa specifica che, tuttavia, si ponga nell’ottica di superare alcune criticità che, pure, erano presenti nell’art.5, l.247/2012, e che meritano senz’altro di essere rimeditate;
CHE vengano approfonditi e definiti – in tale diverso contesto – gli aspetti fiscali, previdenziali e di responsabilità professionale legati allo svolgimento dell’attività professionale in forma societaria;
CHE, laddove vi fosse disponibilità in tal senso, sia lo stesso Governo, per il tramite del Ministro della Giustizia, a farsi promotore di un ddl destinato a regolare l’esercizio dell’attività forense in forma societaria, anche multidisciplinare …”.
Il disegno di legge di questi giorni prosegue decisamente su questa strada ed apre al socio di capitale ed alle società multiprofessionali, fermi restando il principio della personalità della prestazione e l’obbligo del rispetto del codice deontologico.
Riapre, altresì, il dibattito sulle nuove forme e sui nuovi strumenti attraverso i quali l’avvocatura si deve riposizionare sul mercato.
“Il provvedimento del governo presenta evidenti criticità – ha dichiarato recentemente il Segretario Generale ANF Perifano – che, però, nell’iter parlamentare, ben potranno essere rimosse. Non è più il tempo di arroccarsi, restituendo l’immagine di una categoria chiusa all’evoluzione del mondo che ci circonda …” ma “è ora di cambiare passo, l’Avvocatura deve raccogliere la sfida che la società e l’economia stanno lanciando, partecipare alla politica del Paese, nel segno di quella domanda di cambiamento che attraversa tutti i settori, e da cui non possiamo autoescluderci”.
E’ quello che dobbiamo fare e che faremo a Bergamo, discutendo con serietà ed impegno, “con la prospettiva – cui accenna Perifano – di abbandonare la retorica degli ultimi anni e indicare invece soluzioni concrete per una crescita sociale e culturale dell’Avvocatura”, nell’interesse dell’intera comunità sociale ed economica, italiana ed europea.
Andrea Zanello – DIRETTIVO A.N.F.
Relazione in formato pdf ZANELLO relazione organizzazione studi legali