di Cesare Piazza (Consigliere nazionale ANF)
Secondo le risultanze del Rapporto annuale sull’avvocatura italiana (CENSIS, marzo 2016) una sia pur lieve maggioranza degli attuali esercenti la professione forense, e quindi comunque più di centoventiseimila soggetti, ha dichiarato di aver scelto la carriera forense animato da pura passione per il diritto e per la sua applicazione pratica. Questo, al netto delle altre variegate e minoritarie motivazioni, conferma che ancor oggi le attenzioni e le dedizioni degli avvocati sono generalmente indirizzate a realizzare gli scopi della tutela dei diritti, della difesa degli accusati, e del mantenimento della legalità.
Per converso, è dallo stesso rapporto Censis che emerge la difficoltà – per non dire l’attuale improprietà sociale – del mantenimento degli scopi che abbiamo detto. Sono indubbiamente scopi di tutto rispetto, anzi di prestigio, di altissimo valore sociale e morale: ma ad influenzare negativamente l’immagine dell’avvocato fra la gente comune (il 60% circa degli italiani) è il cattivo funzionamento del sistema giudiziario del paese, in concomitanza del quale si addebita agli avvocati di non aver interesse alla semplificazione delle procedure, di essere eccessivamente orientati al profitto sulla pelle dei bisognosi di difesa, di essere troppo coinvolti negli ambienti politici, e di essere comunque troppi per garantire un livello di eccellente qualità professionale.
Se, facendo omaggio all’onestà intellettuale, si mette per un momento da parte la tendenza a una sussiegosa autoreferenzialità, che serpeggia nell’ambito di tutte le storiche professioni ordinistiche e segnatamente anche nella nostra, e si cerca di rendersi più esattamente conto dell’indispensabile rapporto che si deve creare fra la società in generale e l’offerente di servizi intellettuali, non si possono non cogliere preoccupanti sintomi di scivolamento verso un’emarginazione degli avvocati nelle classifiche di prestigiosità e di concreta utilità. I dati raccolti dal Censis dicono che quanto a prestigio l’avvocato viene per ottavo, dopo magistrato, professore, notaio, ingegnere, dirigente industriale, e imprenditore; e quanto all’utilità….. è ovvio che la scadente, disordinata e ritardataria resa di giustizia riverbera il proprio effetto negativo sull’immagine e sull’efficacia della sua opera.
Dunque, il punto è questo: l’offrire prestazioni per la tutela dei diritti, per la difesa degli accusati e per il mantenimento della legalità, nonostante un grande e onorato passato della professione, non porta più a ritenere tali prestazioni prestigiose o utili. Pur con tutte le riserve e i distinguo che possono essere del caso, questa è l’opinione del 60 per cento circa dei cittadini intervistati. E lasciamo pure stare la questione del prestigio, che non ha un’incisiva valenza collettiva perché il prestigio ognuno se lo può personalmente conquistare e mantenere con una costante formazione di eccellenza, ma dedichiamo le nostre riflessioni alla questione della scarsa utilità della prestazione fornita. Questione che, per i fruitori significa disincanto, sfiducia e distacco; ma che per gli offerenti significa gravi conseguenze economiche: quelle conseguenze che fanno sentire al 79,7 per cento degli avvocati il morso di una forte crisi professionale ed economica, tanto da indurre (penso con sofferta riluttanza) un avvocato su cinque al ripensamento del proprio ruolo e della propria identità.
La giurisdizione, pilastro della cultura civile di un popolo e garanzia di tenuta per la democrazia
Non è da ora che, anche nell’ambito della nostra associazione, si va riflettendo sul da farsi per rilanciare, e così salvare, questa antica e nobile professione, e già si è sostenuto con passione e con forza (vds. IV Congresso Nazionale ANF, Rimini marzo 2006) che la vera e corretta soluzione del problema sta nel rilanciare e potenziare la giurisdizione, come pilastro della cultura civile di un popolo e come garanzia di tenuta per la democrazia. In un contesto così glorificato, la figura dell’avvocato sarebbe stata collocata in posizione centrale, oggetto di prestigio e di remunerazione morale oltre che economica.
Sennonché, bisogna prendere atto che queste giuste e lodevoli aspirazioni derivavano (e derivano, se ancor oggi c’è qualcuno che si dichiara animato principalmente dalla tutela dei diritti e dal mantenimento della legalità) da un passato, plurisecolare, di stabilità sociale e di stabilità di regole. Consentitemi di rammentare che fino a tempi abbastanza recenti gli avvocati (come tutti i giuristi) provenivano soltanto da studi classici e umanistici, e venivano cooptati nel ceto forense per ragioni di notabilato cittadino o di tradizione familiare; e che negli studi legali i testi sacri fondamentali erano solo due: i quattro codici di Franchi & Feroci – ediz. Hoepli – rilegati blu in pelle salpa e carta india, e i tre volumi Cedam anch’essi blu delle “leggi usuali d’Italia”. E non sto parlando di cento anni fa, ma dei tempi in cui io stesso ho cominciato. Stabilità, dunque, fermezza, solidità, tradizione, affidabilità delle istituzioni. Di questa cultura, di questo diritto, della sua applicazione pratica, di questa custodia di regole veramente ci si poteva anche dichiarare appassionati, tanto da farne motivazioni e scelte di vita.
Ma col passare del tempo tutta questa solidità e concretezza è venuta meno, l’intera società pian piano è divenuta duttile, poi malleabile, infine – a dire del filosofo Baumann – addirittura liquida. La caratteristica dei liquidi per l’appunto è quella di non avere forma propria, ma di assumerne via via quella dell’occasionale contenitore. E anche il diritto, pian piano, si è fatto “liquido”.
Non è un’impressione mia: con l’autorità che gli spetta, l’allora presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi (non è un giovane baldanzoso e sovversivo, ci siamo conosciuti, lui ed io, come matricole nella facoltà di giurisprudenza…. ) nel presentare la relazione annuale del 2017 si è inoltrato nella previsione che la stessa Corte sia chiamata a “convogliare nell’alveo della legislazione le istanze di nuovi valori, o interessi o bisogni, perfino ancora inespresse” addirittura “anticipando soluzioni destinate a risultare in seguito scontate”. Se questa non è la previsione di una legalità “liquida”, ditemi voi che cos’è.
E del resto, di esempi di diritto liquido già abbonda la nostra esperienza. Basterà rammentare le innovazioni di fatto in materia di decozioni di imprese, in materia di insolvenze sistematiche, in materia di rispetto della proprietà, in materia di illeciti tributari ed edilizi (condoni), in materia di irrilevanza sociale di certi reati, in materia di licenza di diffamazione letale tramite web, eccetera. E, se guardiamo alle regole più propriamente attinenti l’esercizio della nostra professione, che dire dei continui contrasti e verdetti contraddittori fra sezioni della suprema corte, dell’imperscrutabilità bizzarra delle decisioni delle commissioni tributarie, delle libertà di forme e di estensione degli atti processuali compressa da disposizioni autoritarie e prassi obbligatorie, dei diritti delle parti nei processi civili e penali compressi o annullati da protocolli regolatori, dell’obbligo sistematicamente evaso di dare prevedibilità ai tempi mediante la formazione del calendario del processo, dell’uso arbitrario e strumentale nelle pronunce di inammissibilità delle impugnazioni ?
Ma nell’ambito sociale c’è anche di più: addirittura l’invalso andazzo di incalzare da presso la giustizia penale, mediante un circo mediatico colpevolista fatto di programmi televisivi, di articoli di giornale, di presidi pubblici di comitati, associazioni, o gruppi di opinione alle porte dei tribunali; o l’invalso andazzo di osteggiare o impedire opere pubbliche sgradite a qualche minoranza mediante occupazioni, resistenze o violenze; o infine l’invalso andazzo di predicare l’abolizione della disciplina scolastica in quanto oppressiva della spontaneità.
Ci si può appassionare più a questo tipo di società e di diritto? Aggiungo, per conseguenza: si può essere entusiasti di una figura tradizionale di avvocato – come la tratteggia e la vuole l’ordinamento professionale della legge 247/2012 – che non ha alcuna possibilità di conservare prestigio, autorevolezza e giusta remunerazione in una società liquida, che ogni giorno muta i suoi apprezzamenti e i suoi valori, e si fa via via le sue regole? Io, che invece quanto meno per anzianità dovrei essere un conservatore, non vedo come questa legge di ordinamento professionale sia in grado di garantire un futuro all’avvocato della società liquida; e auspico che i giovani professionisti alle prese con le gravi difficoltà di identificazione del loro ruolo siano capaci di avviare un forte movimento di opinione per ottenere che siano riformate le disposizioni ordinamentali soprattutto in materia di incompatibilità (che problema c’è a consentire a un avvocato di amministrare una società? che problema c’è a consentire a un avvocato di essere dipendente di uno studio legale? che problema c’è a consentire a un avvocato di esercitare la professione in maniera imprenditoriale, libero di proporsi sul mercato con congrua pubblicità e libero di associarsi con altre figure professionali?) e in materia di accesso (che problema c’è a consentire più agevolmente a chi compiuto comunque un percorso formativo di diciotto mesi di presentarsi all’esame di stato?). Ho detto “soprattutto”, ma l’elenco dei punti in cui apportare modificazioni alla legge è lungo: e se ne parlerà a tempo e a luogo.
Ma figuratevi che c’è chi pensa (speriamo che lo creda davvero, in buona fede) che la strada per ovviare a tutte le difficoltà sia quella di inserire la figura dell’avvocato nella costituzione della repubblica. Sarà, ma io la penso come il Segretario Generale Gigi Pansini: all’avvocato in costituzione, preferisco l’avvocato in evoluzione, cioè libero di evolvere la sua collocazione in una società liquida che non gli dà più gli appoggi di un passato – imponente sì, ma ingombrante –, mediante scelte ponderate ed equilibrate fra giurisdizione e assistenza agli affari, fra deontologia e agilità di movimento, fra diritto ed economia, fra cautela di specialista e coraggio di innovatore. Insomma, libero di trasferirsi da un personaggio con un paludamento da scena disegnato da una legge passatista a un personaggio con abito curiale, sì perché anche l’abito fa il monaco, ma di varia foggia come scelta da lui per un futuro scorrevole e appassionante.
LA RASSEGNA DEGLI AVVOCATI 2018